Il 15 marzo 2014 si è svolta la 3^ edizione della 6 ore di San Giuseppe, a Putignano (Lecce). Elena Cifali che ne aveva fatto esperienza l'anno precedente, non ha mancato l'appuntamento ed è arrivata a Putignanocon una piccolo corpo di spedizioni di Siciliani.
E' stata per lei un'esperienza unica ed emozionante, anche perché ha disputato la gara esattamente nel giorno del suo compleanno: ed tutto è stato come una festa di buon compleanno di corsa.
Quella che segue è la sua cronaca, nello stile inconfondibile che, ormai aficionados e lettori di questo magazine hanno imparato a conoscere.
(Elena Cifali) Eccolo, sento l’ultimo sparo, adesso la gara è davvero finita.
Mi arresto, mi blocco e mi siedo per terra, su quel metro quadrato di asfalto che, per ultimo, accoglie le mie emozioni.
Guardo il pettorale che stringo forte in mano e leggo: “Buon Compleanno Elena Cifali!”. Ecco, questa sorpresa è davvero troppo anche per me. Le emozioni traboccano e con esse anche le lacrime che scendono a fiume dai miei occhi stanchi.
Piango, piango e piango ancora. Una bimba mi guarda dall’altro lato della transenna: “Mamma, perché piange?” “Perché è felice”, le risponde la donna che la tiene teneramente per mano. I miei occhi si incrociano con quelli della donna ed entrambe capiamo che ha ragione lei.
Piango di felicità. Oggi è il giorno del mio compleanno, 41 anni festeggiati nel migliore dei modi possibile: correndo.
Ho fatto della corsa il mio stile di vita, la mia passione.
Con la corsa - e attraverso la corsa - ho imparato a conoscere il mio corpo e la mia mente. Ho imparato a sopportare oltremodo il dolore e la fatica. La scelta di trascorrere il compleanno lontano dalla famiglia è stata sofferta, ma la comprensione e l’appoggio di chi mi vive accanto sono stati determinante.
Questo 15 marzo 2014 è stato una giornata di sole anche se il vento freddo non si è fatto desiderare.
Al nastro di partenza un nutrito gruppo di amici mi ha salutato e mi ha festeggiato tra applausi e strette di mano. Il mio umore è salito alle stelle e, sebbene la mia forma fisica non fosse eccellente, ho deciso di correre la 6 ore più bella della mia carriera podistica.
Oggi, qui a Putignano, rischio tutto, mettendo in gioco anche le energie che non ho.
Guardo il tabellone che segna l’ora zero. Poi, lo sparo che dà il via alla gara mi riporta ai momenti magici vissuti proprio qui lo scorso anno, quando non ero sola e tanto doveva ancora accadere.
L’amico fidato Enzo [Vincenzo Ferro] ed io procediamo a passo tranquillo e sempre insieme per due ore, chiacchieriamo, ridiamo, ascoltiamo, osserviamo le tecniche degli altri compagni e già pensiamo alle prossime gare, alle prossime avventure.
Poi, con lo scorrere delle ore ognuno di noi farà il suo passo, perché abbiamo imparato che in gara c’è la sola certezza di partire insieme e mai quella di arrivare gomito a gomito.
Mi isolo un po’, mette le cuffiette con la mia solita musica, sempre quella da anni, ed inizio a pensare.
Dalla Sicilia ho portato tutto con me: buone gambe per correre, fiato per respirare, cuore per amare, testa per pensare, coraggio per osare, mani per toccare ed occhi per piangere.
Il giro è sempre lo stesso: 1.280 metri da correre, sempre quelli e tutte le volte che passo dal gonfiabile è come se uscissi da una stanza ed entrassi nella successiva.
In totale attraverserò bel 44 stanze ed ognuna di esse avrà una luce diversa.
Dopo la terza ora di corsa ininterrotta ho sentito forte la necessità di cambiarmi: ho tanto freddo e lo stomaco si è gelato. Il retto addominale, che lo scorso anno si sfilacciò a causa di un lavoro casalingo, mi fa molto male, rendendo difficoltosa la mia respirazione ed anche la mia corsa.
Mi raggiunge Michele, tocca il mio fianco per indicarmi che è vicino a me. Uno sguardo di intesa che vuol dire: “Seguimi, vienimi dietro”.
Mi accodo a lui e riprendo il ritmo che avevo perso dopo il cambio di abiti.
Poi lo vedo allontanarsi e ritorno ai miei antichi ricordi. Continuo ad entrare ed uscire dalle mie stanze e ad ogni passaggio incontro un viso amico.
Tutte le volte che doppio Rino lo prendo per mano. Corro mano nella mano con lui per un centinaio di metri, insieme, spesso senza neppure parlare.
Le nostre mani sudate suggellano la fatica e la voglia di imporre la nostra volontà sul corpo stanco.
Tutte le volte Rino riafferra la mia mano, stringendola delicatamente, e tutte le volte lasciandomi andare mi sussurra “Continua, campionessa”.
Questo rituale consente a me di riposare durante quei cento metri un po’ più lenti e consente a lui di allungare il passo.
La quarta ora arriva in fretta e con essa la distanza della maratona. Torno a sentire mie le gambe, torno a regolarizzare il respiro e ritrovo il giusto ritmo.
Riecco che SuperElena torna ad essere la donna che sa essere nei momenti di crisi.
Cala l’oscurità, ma dentro di me torna la luce.
Alzo lo sguardo e vedo la luna che dall’alto mi osserva. Inizio a pensare a nonna Giuseppa e al suo modo unico di dirmi “Sei la numero uno”. Si, sono la numero uno e lo dimostrerò ancora una volta. Il dolore allo stomaco è costante, ma il sorriso mi illumina il volto tutte le volte che sento urlare il mio nome dallo speaker, da Alessandra e Giorgia, dai vecchietti a bordo campo che applaudono incessantemente.
Un turbinio di emozioni mi scuote ad ogni passaggio.
Manca davvero poco adesso, meno di 30 minuti ed anche questa avventura sarà finita.
Arriva consueto il momento in cui vorrei che la mia corsa si prolungasse senza fine: mi spiace abbandonare questo dolcissimo senso di fatica e stanchezza.
Ma il tempo che corre incessante è inclemente.
Allungo il passo, alzo le gambe, corro più velocemente che posso durante i cinque minuti che mi separano dalla fine.
Ed intanto stringo forte il mio pettorale alla mano.
Ancora prima della medaglia è lui il mio simbolo. Un simbolo di gioia e soddisfazione. Dentro me risuonano le voci dei miei cari, le voci degli amici che mi hanno dedicato un pensiero.
La voce di colui, che poco prima del via, mi ha chiamata dicendomi “Correremo insieme io e te Elena, non ti lascio sola oggi neppure per un minuto”.
Eccolo, sento l’ultimo sparo. Mi arresto, mi blocco e mi siedo per terra, su quel metro quadrato di asfalto che, per ultimo, accoglie le mie emozioni ed inizio a piangere lacrime di gioia che non sfuggono all’occhio ingenuo e tenero di una bimba bionda.
Mi sollevo da terra ed asciugandomi gli occhi le vado incontro, la mamma le lascia la mano ed io le do il cinque. “Sai, piango perché stasera ho vinto, sono stata ancora una volta la numero uno, un giorno mi capirai”, le dico, ma senza attardarmi troppo.
Vado a ritirare la mia medaglia e le dò un nome: Felicità.
Felice compleanno, Elena! Uno dei migliori compleanni che un podista possa desiderare!
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