Ed ecco finalmente la prima parte del primo importante capitolo di "Maratona Light. Manuale per amatori evoluti", elaborato da Lara La Pera e Attilio Licciardi che qui affronteranno "da amatori", competenti e attrezzati con i propri studi (scienze biologiche l'una e chimica farmaceutica l'altro) ed i propri apparati concettuali, le questioni relative alla fisiologia della preparazione atletica in vista della maratona.
Prima di affrontare la parte della nostra disamina che riguarda gli aspetti fisiologici della maratona che ogni maratoneta dovrebbe in grandi linee conoscere prima di affrontare la preparazione e la gara, è importante sottolineare alcuni aspetti:
- Il progetto “Maratona Light” non intende proporre alcuna tabella di allenamento (non siamo tecnici ma solo amanti della corsa e della scienza). L’obbiettivo è, attraverso la nostra esperienza sportiva e professionale, dare un approccio conoscitivo e pratico alla maratona per amatori evoluti che, data la loro abitudine di correre 5-6 giorni su 7 e almeno 2 maratone l’anno, possono preparare la gara di Filippide in un periodo più breve dei canonici 3-4 mesi (circa otto settimane). La maggior parte degli amatori sono gli allenatori di loro stessi, è pertanto di fondamentale importanza conoscere il proprio corpo, quindi i cambiamenti fisiologici e metabolici che avvengono durante le settimane di preparazione e durante la gara. La conoscenza degli stessi infatti ci aiuterà a gestire al meglio i carichi di lavoro, i momenti di fatica e l’alimentazione.
- E’ tuttavia importante sottolineare che chi si avvicina alla maratona per la prima volta o chi da più di un anno non ne corre una, dovrebbe seguire un periodo di allenamento più lungo per adattare il corpo ai chilometri e alla fatica. Così come chi corre abitualmente tre o quattro volte a settimana percorrendo al massimo 50-60 km, deve modificare le proprie abitudini di allenamento e per farlo probabilmente tre o quattro mesi sono necessari. Questo comunque non esclude che la lettura di questa rubrica ed in particolare degli aspetti fisio-metabolici della maratona li possa notevolmente aiutare.
- Correre la Maratona non deve diventare una “questione d’onore”!Molti corrono la maratona per moda (soprattutto se è quella di New York!), perché lo fanno gli altri, perché non sono un vero podista se non corro almeno una maratona l’anno (cosa rispondo a gli amici quando mi chiedono “quanto hai in maratona?”. Per correre una maratona bisogna essere predisposti alla fatica di lunga durata, percepire la corsa lunga come un piacere e non come una fonte di stress, saper stare per molto tempo da soli. Perché la maratona non è lunga solo 42,195km e tre, quattro o cinque ore……la maratona è lunga ottocento, novecento, mille chilometri e può durare due, tre, quattro mesi…..La vera gara è il lungo periodo di allenamento durante il quale bisogna avere tanta pazienza e il giorno della maratona, se si è veramente allenati e saggi nella gestione della gara, è solo lo “sprint” finale!
Un po’ di scienza: aspetti fisiologici e metabolici della maratona.
Questo progetto si intitola Maratona Light, pertanto non vogliamo appesantire il lettore con approfondimenti di biochimica e fisiologia che rischierebbero di rendere questa lettura tutt’altro che light…continuando ad usare la lingua inglese very hard!Tuttavia la preparazione fisica per la maratona può essere affrontata meglio e con maggior consapevolezza se si conoscono gli aspetti fisiologici dell’allenamento. Pertanto cercheremo di descrivere in maniera semplice e chiara alcuni concetti basilari che probabilmente molti di voi già conoscono…o credono di conoscere.
1.1 ATP: l’energia scaturita dalla rottura di un di un legame chimico
Durante l’allenamento di preparazione alla maratona si verificano delle modifiche nelle funzioni fisio-metaboliche dell’atleta in risposta allo stimolo allenante e agli adattamenti a tale stimolo. La preparazione fisica ad una disciplina sportiva, nel nostro caso alla maratona, stimola diversi meccanismi all’interno del nostro organismo deputati alla produzione di energia.
Sebbene noi ricaviamo energia dal catabolismo, ovvero dalla demolizione di nutrienti complessi, tutta l’energia necessaria ai processi biochimici che avvengono nel nostro corpo, viene fornita da una piccola molecola chiamata adenosintrifosfato (ATP). L’ATP in seguito ad un processo di idrolisi libera gruppi fosforici ,adenosindifosfato ed energia.
ATP→ADP+P+energia
Ovviamente in tale processo sono coinvolti tanti enzimi specifici che hanno il compito di catalizzare questa reazione. L’energia che invece viene ricavata dalla demolizione dei nutrienti viene utilizzata per ri-sintetizzare l’ATP. L’uomo ricava tutta l’energia necessaria alle sue attività dalla rottura di un legame chimico. Che “macchina” meravigliosa il corpo umano!
La risintesi (o turnover) dell’ATP coinvolge tre sistemi energetici. Questi vengono distinti in aerobici o anaerobici in base al fatto che le reazioni biochimiche coinvolgano o meno l’ossigeno. Senza entrare troppo nel dettaglio, tali sistemi sono:
- Sistema della fosfocreatina o ATP-CP (anaerobico senza produzione di lattato): è il primo sistema a fornire energia quando il muscolo inizia a lavorare. Nei primi secondi di lavoro l’ATP si idrolizza producendo ADP ed energia; la fosfocreatina (CP) presente nel muscolo a sua volta si scinde in creatina liberando fosfato ed energia che vengono usati per risintetizzare l’ATP
CP+ADP→creatina+ATP
Questo processo può andare avanti fino a quando le riserve muscolari di CP non vengono esaurite. E’ evidente che questo sistema di produzione di energia è molto attivo nei velocisti, e meno utilizzato nei maratoneti. Infatti il contributo energetico della fosfocreatina è compreso tra il 30-50% negli atleti che corrono i 100 m e i 200m; per distanze più lunghe (400m, 800m) tale contributo è inferiore al 10%. Dai 10000m alla maratona il contributo della CP alla produzione di energia è pressoché nullo fatta eccezione per lo sprint finale della gara. Come vedremo in seguito infatti, più lunga è la percorrenza, maggiore sarà il contributo che glucosio/glicogeno, lipidi e proteine daranno per la risintesi dell’ATP, ovvero per la produzione di energia. In particolare nella maratona, circa il 70% dell’energia impiegata proviene dal catabolismo del glicogeno e quindi del glucosio e il restante 30% da grassi e proteine.
- Sistema glicolitico lattacido (anaerobico): la risintesi dell’ ATP a partire dall’ADP avviene mediante un processo biochimico chiamato glicolisi. La glicolisi rappresenta il processo obbligatorio di utilizzazione del glucosio, sia che questo venga trasformato in lattato (processo anaerobico), sia che venga completamente ossidato con la produzione di CO2 e H2O (aerobiosi). Il glicogeno contenuto nei muscoli (che rappresenta il 75% circa di tutto il glicogeno presente nel nostro organismo) e il glucosio circolante nel sangue, vengono scissi per via enzimatica. L’energia prodotta dalla demolizione di tali nutrienti viene impiegata per produrre ATP. Quando questo processo avviene molto velocemente in assenza di ossigeno, il prodotto finale è il piruvato che in presenza di un coenzima chiamato NADH viene ridotto a lattato che si accumula nel tessuto muscolare.
- Sistema ossidativo (aerobico): tale sistema contribuisce alla risintesi dell’ATP in presenza di ossigeno attraverso un sofisticato meccanismo cellulare chiamato fosforilazione ossidativa. In seguito alla demolizione del glucosio attraverso la glicolisi, il sottoprodotto formatosi –piruvato- viene demolito completamente a CO2 e H2O attraverso un complesso meccanismo di reazioni enzimatiche note come ciclo di Krebs . L’energia prodotta da tale reazione viene impiegata per la risintesi dell’ATP. A differenza della glicolisi anaerobica che attinge quasi esclusivamente al glicogeno muscolare, il glucosio utilizzato nell’esercizio prolungato, come la maratona, proviene soprattutto dal sangue nel quale viene riversato dal fegato. E’ quindi il glicogeno epatico il principale serbatoio di glucosio utilizzato negli esercizi di lunga durata, non solo come fonte di energia, ma anche per assicurare la concomitante ossidazione completa degli acidi grassi. Infatti l’ossidazione completa degli acidi grassi in CO2, meccanismo fondamentale per un maratoneta, richiede l’intervento di una molecola chiamata ossalacetato, che rappresenta un intermedio della demolizione del glucosio nel ciclo di Krebs. Da questa considerazione biochimica deriva la celebre frase che riassume in poche parole tanti concetti relativi al metabolismo: “I grassi bruciano al fuoco dei carboidrati”. Il deposito massimo di glicogeno epatico può raggiungere i 100g; se fosse l’unica fonte energetica dopo 20 minuti di corsa sarebbe completamente esaurita. In realtà parte dell’energia proviene dalla concomitante ossidazione degli acidi grassi e dal glicogeno muscolare.
Questi tre sistemi energetici non funzionano separatamente, ma contribuiscono al turnover dell’ATP in modo diverso, a seconda della natura del lavoro che il muscolo compie. Uno sprinter che si allena su brevissime distanze utilizzerà tantissimo il sistema della fosfocreatina per produrre energia, ma per distanze superiori ai 400m entra in gioco prevalentemente il sistema glicolitico-lattacido. I livelli più elevati di lattato si rilevano infatti nel corso di un esercizio fisico intenso che si protrae per due massimo tre minuti. Se l’esercizio intenso si protrae oltre, il lattato si accumula nel tessuto muscolare. Un bravo maratoneta corre invece a livello della sua soglia aerobica, pertanto per produrre energia verrà impiegato il sistema ossidativo basato sulla demolizione di glucosio ematico, glicogeno muscolare ed epatico, acidi grassi e infine proteine.
1.2 Soglia aerobica, soglia anaerobica, massimo consumo di ossigeno, potenza lipidica: arabo o pane quotidiano?
A questo punto è necessario considerare alcuni parametri importanti per un maratoneta. Tutti i parametri che descriveremo brevemente e in modo semplice, che tutti noi abbiamo sentito spesso nominare, senza molte volte comprenderne il reale significato, sono legati alla frequenza cardiaca. Spesso infatti abbiamo lasciato l’interpretazione di certi “paroloni” ad allenatori, medici sportivi, tecnici ed esperti della corsa senza considerare che la loro comprensione può aiutarci ad allenarci meglio e a gestire la fatica.
La frequenza cardiaca (FC) è il parametro più comunemente usato dai runners e dagli sportivi in generale per misurare l’intensità dello sforzo. La frequenza cardiaca rappresenta il numero di cicli che il cuore compie in un minuto, mentre la gittata cardiaca è il volume di sangue pompato in un minuto. Per un podista è di grande importanza conoscere la propria frequenza cardiaca a riposo e la frequenza massima in modo da poter seguire il nostro cuore durante l’allenamento (anche senza i moderni cardiofrequenzimetri). Se si considera 70 battiti/minuto come valore di riferimento della frequenza cardiaca a riposo, molti runners allenati risulteranno bradicardici, ossia avranno una frequenza a riposo notevolmente inferiore a 70. Molti di noi costateranno di avere a riposo anche meno di 50 battiti al minuto. Niente paura…non state per morire, avete un cuore da maratoneta! Infatti la FC si adatta e si abbassa con il migliorare delle nostre condizioni fisiche durante il periodo di preparazione della maratona. La frequenza cardiaca massima è strettamente correlata con l’età e può essere calcolata (prevedendo uno scostamento del 10-15%) usando la seguente formula:
FC max=220-età
La frequenza cardiaca è strettamente correlata all’intensità del lavoro svolto e quindi al contributo relativo delle vie metaboliche aerobiche o anaerobiche alla produzione di energia. Durante un allenamento in cui si mantiene la soglia aerobica (SA),classico fondo lento, la frequenza cardiaca deve mantenersi sotto al di sotto del 70-75% della FC max. Oltre tale valore il lavoro diviene progressivamente anaerobico. Quando svolgiamo un allenamento tra l’80-85% circa della FC max, abbiamo raggiunto la nostra soglia anaerobica (SAE) o del lattato.
Quando si usa la frequenza cardiaca come parametro di riferimento per valutare l’intensità dello sforzo e la tipologia di lavoro svolto, si deve tener conto che gli intervalli di frequenza cardiaca indicati possono subire delle variazioni in atleti particolarmente bradicardici (che a riposo hanno meno di 60 battiti/minuto) o tachicardici. I concetti di SA e SAE vanno anche correlati alla concentrazione di lattato nel sangue per essere applicate in maniera più specifica alla corsa. I valori basali (a riposo) di lattato nel sangue sono di circa 1mmol/ l. Quando si corre lentamente, la concentrazione di lattato si mantiene su valori basali. Per velocità un po’ più alte (ad esempio l’andatura di maratona), la concentrazione di lattato aumenta fino a 2 mmoli/l. L’intervallo di velocità alla quale la concentrazione di lattato nel sangue si mantiene costante intorno a 2 mmoli/l rappresenta la soglia aerobica. La concentrazione di lattato si mantiene costante quando la velocità con cui viene prodotto è uguale a quella con cui viene smaltito. Aumentando l’andatura, la concentrazione di lattato aumenta fino a circa 4mmoli/l; la soglia anaerobica è l’intervallo di velocità alla quale la concentrazione di lattato si mantiene costante intorno a 4mmoli/l. La capacità aerobica (CA) è il tempo per il quale si riesce a mantenere l’andatura rappresentata dalla soglia anaerobica. Infine la capacità anaerobica (CAE) è rappresentata dalla capacità di un atleta di correre con alte concentrazioni di lattato.
Riassumendo, e semplificando, possiamo dire che Soglia Aerobica per un atleta allenato, è rappresentata dall’andatura di maratona, invece la Soglia Anaerobica potrebbe essere rappresentato dal ritmo massimo che si riesce a mantenere per correre un 10.000 m. La durata del 10.000 è la nostra CA Capacità Aerobica.
E’ evidente che tanto più ossigeno arriva ai muscoli, tanto maggiore può essere la combustione di glicogeno e di acidi grassi, con una maggiore produzione di ATP a vantaggio delle richieste delle fibre muscolari e d’una loro contrazione con maggiore frequenza. La quantità di ossigeno che può essere utilizzata dall’organismo nell’unità di tempo viene definita massimo consumo di ossigeno, VO2max, si esprime in ml O2/kg/min e rappresenta l’efficienza aerobica di un atleta. I top runners possono arrivare a un valore di VO2max di 75 ml O2/kg/min. Durante una maratona l’atleta lavora al 70-75% della VO2max. La percentuale di utilizzazione dell’ ossigeno (VO2max) è una delle grandezze da allenare per migliorare la prestazione durante la maratona. Il massimo consumo di ossigeno dipende dalla frequenza cardiaca massima, dalla gittata sistolica (cioè la quantità di sangue che viene espulso dal cuore ad ogni battito) e dalla capacità di estrazione periferica dell’ossigeno (il cosiddetto gradiente artero- venoso). Insomma per potere aumentare il nostro massimo consumo d’ossigeno è sufficiente allenarsi per aumentare la nostra FCmax, aumentare la grandezza delle nostre cavità cardiache, aumentare la capacità di trasporto dell’ossigeno da parte del sangue, insegnare al muscolo ad estrarre più ossigeno dal sangue attraverso tutti i processi di capillarizzazione. Qualcuno penserà: più facile a dirsi che a farsi…… e ha ragione!!!
Nella seconda parte del capitolo "Fisiologia", Lara La Pera e Attilio Licciardi affronteranno il tema dell’importanza dei grassi nella miscela energetica che il nostro corpo utilizza mentre corriamo la maratona e approfondiremo l’importante concetto di Potenza Lipidica.
Ci renderemo infatti conto che è proprio questa grandezza il segreto del successo di un buon maratoneta.
Gli altri capitoli del progetto sinora pubblicati:
Maratona per Amatori (di La Pera - Licciardi) (2)
La Maratona per gli amatori. Come prepararla e affrontarla (Lara La Pera e Attilio Licciardi). Presentazione del progetto "Maratona Light"
La foto è di Maurizio Crispi (Strasimeno 2013, partenza)
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