(Maurizio Crispi) Stando a riprendere le foto nella zona arrivi di una grande maratona, come mi è capitato di fare, si ha modo di osservare tutti i finisher. Soprattutto, quelli che arrivano nella fascia compresa tra l'arrivo dei primi top runner e le 3h30' di minuti sono podisti che tengono alla performance.
E, mentre si può constatare che alcuni arrivano tranquillamente, si potrà vedere che altri - chiaramente - tagliano il traguardo, avendo corso gli ultimi chilometri allo spasimo e che, proprio sulla linea del traguardo sono colti da malore.
Da questo punto di vista - come ho potuto vedere in una precedente edizione della maratona londinese nella quale pure mi trovai a fare il fotografo accreditato - l'organizzazione sanitaria, dispiegata sul campo, è una vera e propria macchina da guerra con decine di soccoritori, pronti ad intervenire proprio suulla linea del traguardo, supportati da un posto medico avanzato, con decine di ambulanze per il trasporto dei casi più gravi dopo una valutazione tipo "triàge" che si fa nelle strutture di Emergenza negli Opsedali, per decidere chi debba essere inviato con assoluta urgenza in un'Unità di cure intensive.
Ma, tuttavia, si rimane spesso sconvolti dall'azzardo cui alcuni podisti vanno incontro in nome della "prestazione", quando incuranti dei seganli che il corpo manda loro invia loro continuano a spingere sulle loro gambe, annebbiati da un'ossessione autodistruttiva, come se arrivare al traguardo rispettando la tabella di marcia, fosse una questione di vita o di morte. E spesso questa ossessione (alimentata da una concezione eroica e tragica della maratona) diventa, purtroppo, veicolo di morte.
Ci sono - oltre a questi casi - quelli davvero sfortunati in cui l'incidente è davvero dovuto ad una fatalità e non è da ascriversi ad una condotta imprudente del singolo runner.
Facendo riferimento alla mia precedente esperienza in zona arrivi e a questa, sia come sia, la zona arrivi della Maratona di Londra è punteggiata da incidenti di questo tipo: dal malessere più lieve che si potrà risolvere più rapidamente, a quelli più gravi che hanno richiesto l'allontanamento del runner dal luogo di arrivo sulla lettiga, cure intensive e, in alcuni casi, il ricovero.
In alcuni casi, infine, ci scappa il morto, purtroppo.
Morti e feriti, dunque: ed è questo l'altro volto della maratona, quello più crudele, quando - a conti fatti - si presenta come una piccola guerra che oscura l'aspetto gioioso di festa della vita. Ma specie nei grandi eventi, come è la Maratona di Londra, una morte per quanto dolorosa possa essere è un fatto statisticamente probabile, del quale in fondo non si dovrebbe sorprendere più di tanto.
Forse, a rendere un fatto del genere così diffcilmente metabolizzabile è che esso si verifichi durante la pratica di un'attività sportiva che dovrebbe essere sempre la celebrazione della vita: sembra essere una contraddizione in termini, quasi. L'irruzione di un universo dalle regole assurde nelle geometrie del benessere e della fitness.
E il 13 aprile, qui a Londra, è successo ciò che uno non vorrebbe vedere mai accadere nel corso di un evento podistico: come del resto era già accaduto in precedenti edizioni, la campana a morto ha suonato per un runner.
Un podista 42enne appena ha tagliato il traguardo è stato colto da malore ed è stato soccorso dal personale preposto.
Avrebbe potuto essere una situazione come tante altre e, invece, no.
Malgrado le cure del caso e malgrado l'immediato trasporto in Ospedale per un ricovero urgente, il podista è morto.
Questa vita interrotta ha gettato un'ombra sull'atmosfera di festa che ha permeato l'intera giornata, ponendosi - come sempre - come monito per i vivi, un monito a fare sport, a cimentarsi in prove impegnative - com'è appunto la maratona - che danno un senso alla nostra vita, ma sempre senza strafare e, sempre, ascoltando i segnali del corpo.
C'è da chiedersi: cosa costa rallentare un po' se si avverte un malessere o addirittura fermarsi e rimandare la prova ad un'altra occasione? Giusta domanda, anche se nello stesso tempo, si può mettere sull'altro paitto della bilancia il fatto che certi eventi piombano inspettati ad interrompere una vita, senza dare di sé alcun segno premonitore.
In fondo, Ayrton Senna, prima di quella maledetta gara sul circuito di Imola in cui perse la vita ebbe delle premonizioni e dei pensieri di cattivo auspicio: non avrebbe più voluto non partecipare a quel Trofeo automobuilistico, nato sotto cattivi presagi: così sostengono alcuni che lo conoscevano molto da vicino. NAlla fine, non ascoltò le sue voci interiori e si mise al volante per affrontare quella che sarebbe stata la sua ultima gara.
Di seguito, il comunicato compunto e sommesso, rilasciato dall'Ufficio stampa della Virgin Money London Marathon.
Notification of Fatality (press realease) It is with regret that we have learnt of the death of a competitor in the Virgin Money London Marathon.
A 42-year-old man collapsed after the finish line and although immediate medical attention was provided to the casualty, the fatality was confirmed on his arrival at hospital.
The organisers of the Virgin Money London Marathon would like to express their sincere condolences to the family and friends of the deceased.
We will not be releasing any further details of this tragic incident and would ask for your understanding in this matter.
We would like to emphasise that our immediate concern is for the family of the deceased. Our thoughts and deepest sympathies are with them at this difficult time.
E, in un successivo comunicato si precisa:
Mr Robert Berry. It is with regret that we can now confirm that Mr Robert Berry, aged 42, collapsed at the finish of the London Marathon. He was immediately taken to one of our medical facilities where he was treated by four consultants, including one in emergency medicine. He was transferred to St. Mary’s Hospital, where he was pronounced dead.
The organisers of the Virgin Money London Marathon would like to continue to express their sincere condolences to the family and friends of Mr Berry and our thoughts and deepest sympathies are with them all at this difficult time.
Foto di Maurizio Crispi
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