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14 marzo 2019 4 14 /03 /marzo /2019 08:28

«Finché il corpo me lo consentirà, io correrò. D'altronde gli animali fanno così, corrono fino all'ultimo respiro. Ogni gara è come una nuova vita che vivo. Tutte le volte che si riparte da capo, si scoprono gli avversari, ci si riscopre dentro, e si riscopre anche ciò che si ha attorno. Il deserto, "il più bello e il più triste paesaggio al mondo", non è mai uguale a se stesso. E sono sicuro che qualche altro deserto, qualche altro grande vuoto, ancora mi sta aspettando»

Marco Olmo (IV di copertina)

Marco Olmo, Correre nel Grande Vuoto, Ponte alle Grazie, 2018

Dopo "Il Corridore" in cui Marco Olmo ha raccontato, guidato dalle domande di Gaia De Pascale (Il Corridore, Ponte alle Grazie, 2012) la sua vita di uomo e di runner, è arrivato nelle librerie un suo nuovo racconto, ma da una differente angolazione. Si tratta di "Correre nel grande vuoto" (Ponte alle Grazie, 2018).
Mentre nel primo libro, il filo rosso era la storia della suo correre come riscatto qui invece, la traccia che conduce il lettore è la passione di Marco Olmo per il "grande vuoto" dei deserti. E si tratta di una passione che egli ha iniziato a seguire molto prima di intraprendere la sua carriera di corridore di lunghe distanze. Si potrebbe dire, infatti, che egli sia diventato il corridore dei deserti forse più celebrato e più amato da tutti gli Italiani appassionati di trail running proprio perché - ancora prima - era nato in lui il "mal del deserto".

In questo piccolo testo, Marco Olmo racconta le principali tappe che lo hanno condotto a partecipare alla sua prima volta alla Marathon des Sables e a 22 sue successive partecipazioni consecutive (con ben tre vittorie nel suo palmarés) e a svariati altri appuntamenti con gare di resistenza - a tappe oppure in un'unica soluzione - nei deserti di un po' in tutto il mondo.

Nel momento in cui scrive - e forse è stata questa la molla che lo ha spinto ad intraprendere il suo racconto - Marco Olmo per la prima volta dopo 22 anni non era stato allo start della Marathon des Sables. Una scelta saggia. e anche uno forte come Marco Olmo che - tra l'altro - ha sviluppato la sua vita di ultrarunner dopo i 50 anni - ha dovuto arrendersi alla necessità di modulare differentemente le sue scelte, senza però rinunciare in ogni caso ad indossare il pettorale in competizioni differenti, alcune delle quelle pur sempre nei deserti che gli stanno nel cuore, utilizzando intanto il suo tempo anche per trasmettere ad altri le sue straordinarie esperienze.

(Soglie del testo) Una storia che prende vita nel luogo essenziale: il deserto. Solitudine, fatica, bellezza e immensità hanno lo stesso ritmo di chi lo attraversa correndo.

Quello di Marco Olmo per il deserto è un amore che nasce più di vent'anni fa quando il corridore piemontese, all'epoca neppure cinquantenne, si è appena affacciato all'universo delle ultramaratone. È il 1996, infatti, quando Marco Olmo riceve la proposta di partecipare alla Marathon des Sables, nel deserto del Sahara. Marco ha già visto il deserto, ma come un turista, dal finestrino di un'auto e con l'aria condizionata accesa. Ora invece ha l'opportunità di stare là fuori, a correre come già corre fra le montagne di Robilante, il paesino dove vive. Quella Marathon des Sables è un successo, nella classifica generale si posiziona terzo, facendosi notare dal pubblico e dalla stampa internazionale, e il deserto gli entra dentro, cambiando il suo modo di correre. È da quel momento, infatti, che la sua specialità diventa la lunga distanza, da affrontare prima di tutto con una qualità che diventerà la sua cifra: la resistenza. In questo libro, Marco Olmo ripercorre oltre due decenni di gare nei deserti di tutto il mondo: da quello libico al deserto della Giordania, dalla terribile Valle della Morte in California fino alle zone desertiche dell'Islanda, passando per il deserto di sale della Bolivia, il Sinai e molti altri. Non si possono lasciare tracce nel deserto, Marco lo ha imparato in questi anni: una sola raffica di vento è sufficiente a farle scomparire dalla sabbia. Eppure ogni deserto ha lasciato in lui una traccia incancellabile, alimentando quell'amore di cui sono impregnate le pagine di questo racconto.

Hanno detto:
«Un mito per gli appassionati dell'impossibile» (Corriere della Sera)
«Marco Olmo è una leggenda vivente della corsa estrema» (La Gazzetta dello Sport)

Marco Olmo

L'Autore. Atleta italiano vincitore di numerosi ultratrail, è considerato, nonostante abbia superato i 60 anni, uno dei più grandi specialisti delle corse estreme. È tesserato nel ASD Roata Chiusani. A 58 anni è statoCampione del Mondo vincendo l'Ultra Trail du Mont Blanc, la gara di resistenza più importante e dura al mondo: 167 km attraverso Francia, Italia e Svizzera oltre 21 ore di corsa ininterrotta attorno al massiccio più alto d'Europa. Nel 2009, in occasione del Campionato del Mondo IAU individuale di UltraTrail a Serre Chevalier, ha ottenuto un 14º posto in classifica generale e il 1º nella categoria veterani.
Con Mondadori ha pubblicato Il miglior tempo (2016, con Andrea Ligabue), mentre è di Ponte alle Grazie Il corridore. Storia di una vita riscattata dallo sport (2012 e ss.).

 

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26 febbraio 2019 2 26 /02 /febbraio /2019 09:41
Sara Dossena (con Maurizio Brassini e Francesca Granà), Io Fenice. Il libro di Sara Dossena dall'Atletica al Thriathlon alla Maratona, Fenice SAS Edizioni, 2017 (con prefazioni di Orlando Pizzolato e Linus). Con immagini dalla Maratona di New York 2017

Sara Dossena, subito dopo la sua straordinaria perfomance alla New Yoirk City Marathon del 2017, per sua natura e vocazione anche molto "social" e comunicativa con un suo pubblico di fan, ha pensato di mettere mano alla pena e di raccontare la sua travolgente esperienza. E' nato così questo volume, con la partecipazione nella realizzazione dell'opera di Maurizio Brassini e di Francesca Granà): Io Fenice. Il libro di Sara Dossena dall'Atletica al Thriathlon alla Maratona, Fenice SAS Edizioni, 2017 (con prefazioni di Orlando Pizzolato e Linus).

Sara Dossena vi racconta della sua esperienza di esordiente nella disciplina della Maratona, che la vide sesta classificata ad appena un soffio dalla quinta donna e del percorso lungo e tormentato (per via di numerosi infortuni) che l'ha portata a passare dall'Atletica al Triathlon per poi tornare all'Atletica con l'ambizioso progetto di correre una maratona, ma sostanzialmente in queste pagine racconta tutta se stessa. L'asse portante della narrazione è, ovviamente, la Maratona di New York dai giorni di vigilia alle diverse fasi della gara: dentro il racconto, tuttavia, con una serie di flashback e diversioni, vi è tutta la sua storia, la sua passione per lo sport, i suoi esordi in atletica, i suoi infortuni, la sua volontà di ripresa. 
Quindi, mentre osserviamo Sara Dossena percorrere i fatidici 42,195 km della più celebrata maratona del mondo (e nel farlo occorre anche avere presente le immagini della sua performance divulgate nel web), impariamo a conoscerla meglio con le sue doti, le sue qualità, ma anche con le sue ossessioni e con le sue paure.
Il bello della narrazione è anche che il suo filo rosso si dipana per mezzo di due vertici d'osservazione differenti: quello soggettivo di Sara e quello più oggettivo (più esterno, si potrebbe dire) di Maurizio Brassini suo personal coach e, per un periodo precedente, anche suo compagno di vita. 
Il volume acquisisce per questo e per via dell'arricchimento dato dalla prefazioni di Orlando Pizzolato e di Linus, oltre che della postfazione di Alessia De Gillio, una struttura davvero corale e polifonica.
In ultimo, non manca una piccola scelta di commenti raccolti attraverso i social, dal momento che Sara Dossena è un personaggio dello sport molto attivo nel web (ha anche una sua pagina web) e che la sua impresa ha colpito e commosso tantissimi dei suoi follower, sia del mondo della corsa sia di quello del Triathlon, che sono stati entusiasti del vederla correre alla testa delle donne per una buona metà della distanza ed uscire persino per prima dal fatidico passaggio per il Queensborough Bridge.
Per completezza, il volume si chiude con il racconto degli allenamenti che Sara ha seguito nelle ultime dodici settimane prima del fatidico appuntamento.
Quello seguito da lei è un allenamento non convenzionale, basato sul principio del Cross Training e, dunque, fatto di una commistione di session di nuoto e bici (prevalentemente MTB), oltre che naturalmente di corsa. Sara applica in questo modo la lezione appresa con la pratica del Triathlon ed  anche un rimedio rispetto alla sua tendenza ad infortunarsi, applicando carichi di lavoro troppo specifici. Anche per questo Sara Dossena è un personaggio del tutto sui generis che ha dovuto fare tutto da sè e con il prezioso aiuto di tutti coloro che hanno creduto in lei.
Il suo sogno è stato coronato dal successo (anche se il crono che ha realizzato è stato inferiore alle sue attese, tuttavia, il suo piazzamento è stato eccellente con un negative split significativo) e grazie alla sua performance è entrato a pieno diritto nel mondo della corsa professional. 
Sara Dossena non ha partecipato alla Maratona di New York 2018, per via di un infortunio, ma già sono stati programmati per lei importanti appuntamenti di maratona nel 2019 e nel 2020. Sara Dossena è instancabile, non si abbatte ed è sempre pronta a ricominciare, risorgendo sempre dalle proprie ceneri (dovute ad infortuni vari), proprio come la Fenice del mito.

(dalla quarta di copertina) Perché ho deciso di scrivere un libro se non ho (ancora) vinto nessuna medaglia né ai Mondiali né alle Olimpiadi?
Ho deciso di scrivere queste pagine per capire meglio me stessa. E per rispondere ai tanti che mi chiedono sui miei infortuni, sui miei numerosi stop e sulle mie altrettante ripartenze.
La mia non è una ricetta magica e universalmente valida, funziona bene a malapena per me stessa. Prendetelo piuttosto come uno spunto di riflessione, perché il vero messaggio del libro é quello di non arrendersi mai. O, almeno, di essere i primi a credere nella nostra rinascita.
Quello che avete tra le mai è il racconto delle mie paure e delle mie scelte di vita. Delle mie cadute e delle mie risalite. Delle mie ambizioni e dei miei sacrifici. Quello che avete tra le mani è il racconto delle mie esperienze. Di più: della mia esperienza alla maratona di New York, come paradigma della mia crescita sportiva e personale.
Quella che leggerete è la storia di una persona normale che ha realizzato i propri sogni. E, credetemi, tra i sogni non esistono gerarchie.

Una rassegna di immagini (dal web)
Una rassegna di immagini (dal web)
Una rassegna di immagini (dal web)
Una rassegna di immagini (dal web)
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Una rassegna di immagini (dal web)

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30 novembre 2017 4 30 /11 /novembre /2017 09:00

Se vuoi puoi. Quello che sembrava impossibile, se lavori duramente non è più impossibile. È questa la visione. Come un esploratore la va a cercare, un musicista la canta, un pittore la dipinge, uno scrittore la mette in parole, così un corridore la corre.

Quarta di copertina

Folco Terzani con Michele Graglia, Ultra. La libertà é oltre il limite, Sperling&Kupfer, 2017

Ha conosciuto Michele Graglia  in occasione della prima edizione della Ultra Milano-Sanremo, dove - ancora poco conosciuto nel mondo degli ultramaratoneti italiani - arrivò, sgominando alcune grandi firme dell'ultramaratona mondiale ed europea, inaspettatamente da vincitore alla prima edizione della ultracorsa su strada Milano-Sanremo, avviata nel 2014 sulla falsariga (stesso identico percorso) della classica di ciclismo su strada Milano-Sanremo, tenuta a battessimo nel 2014: un'impresa da giganti con i suoi oltre 280 km in tappa unica, con notevoli difficoltà altimetriche.
E' arrivato da pochi mesi nelle librerie un volume in cui Michele Graglia racconta la sua storia e la sua avventura nel mondo dell'Ultra (Folco Terzani con Michele Graglia, Ultra. La libertà é oltre il limite, Sperling&Kupfer, 2017), con il confronto non solo tecnico ma anche amicale di Folco Terzani, nella veste di scrittore e giornalista, ma anche di appassionato della corsa e dunque pienamente titolato per comprendere appieno il lungo racconto di Michele.
Del suo passato sportivo Michele tace: evidentemente, per lui le piccole imprese giovanili di atletica (per le quali era comunque dotato) e poi una veloce incursione nel mondo del Thriathlon non sono stati rilevanti dal punto di vista della sua "conversione" al Verbo dell'Ultra.
Sì, perché di vera e propria conversione si è trattato, quando un bel d' nel bel mezzo della sua carriera "per caso" di modello fotografico di alto profilo, prima a Miami e successivamente a New York, Michele decise di cimentarsi nella sua prima impresa di ultra della sua vita.
E sin da subito, come quando si aderisce ad una nuova fede a qualsiasi costo e con totale 
abnegazione, la sua scelta è stata immediatamente assoluta ed estrema, con un un tuffo istantaneo - e a capofitto - nelle esperienze di ultramaratone con elevatissimo coefficiente di difficoltà.
Michele Graglia ha voluto subito inebriarsi delle difficoltà maggiori, sulla base di un'adesione assoluta e senza mezzi termine, senza aver prima costruito un'esperienza per gradualità successive: e ciò che viene sottolineato, ai fini del compimento di queste imprese estreme, è l'importanza della volontà e della determinazione, della Mente e del Cuore, come ingredienti essenziali ed ineliminabii, prima ancora della assoluta certezza nella propria capacità fisica.
Sin da subito, ispirato da alcune delle imprese dell'eroe americano di Ultra Dean Karnazes, il suo obiettivo è stato quello di andare oltre il limite, addirittura di porsi dei limiti impensabili e, ragione con il raziocinio, assolutamente irraggiungibili.
Nella filosofia di Graglia, quanto più distante è il limite da raggiungere e da conquistare, tanto maggiori sono la forza della motivazione e la spinta ad andare avanti: e tanto maggiore ovviamente è la possibilità di rimettere in forma la propria vita, indebolita dalla mancanza di un "vero" scopo.
Capitolo dopo capitolo, con qualche intermezzo in cui Folco Terzani racconta dei suoi incontri con MIchele (è implicito, ma evidente, che tra i due sia scattata subito la molla di un amicizia forte), sentiamo il dipanarsi della storia di Michele, novello Saulo sulla via per Damasco: la pratica dell'Ultra diviene per lui una vera e propria religione della mente, in primo luogo.
E siccome Michele scopre anche - strada facendo - di essere dotato e di potere ottenere buoni risultati  - come nel caso dell'avvio della carriera di modello, quasi per caso - ha una spinta in più a perseverare e ad impegnarsi: le eventuali "cadute" e i fallimenti servono semmai a rinsaldare la motivazione.
Ma i traguardi raggiunti sono per Michele - semmai - i punti di partenza per nuove e più ambiziose mete da conquistare (e prima ancora da sognare).
Cosa rimane dopo aver fatto propri (e aver messo in archivio) alcune delle più impegnative gare Ultra su strada e trail? Forse, dice Michele, mettere in cantiere un giro del mondo a piedi (o di corsa), ma senza mettere a repentaglio la propria vita (principio che apprende egli stesso, strada facendo, in corpore vili).
In questo libro ci sono dentro tante cose e tra le cose più specificatamente sportive spiccano i valori degli affetti familiari e quelli dell'amicizia: senza di questi, le imprese di Michele forse non sarebbero state possibili, poiché quasi sempre - qualche gara dopo il suo "lancio" - ha potuto contare sul supporto costante di un team di amici e familiari.
Uno spazio particolare è dedicato - ovviamente - alla sua "creatura", l'Ultra Milano-Sanremo e alla sua vittoria.


(dal risguardo di copertina) Michele ha una folgorante carriera da modello a Miami e New York, macchine sempre più grandi, tanti soldi per pagarsi ogni capriccio, feste tutte le sere, una moglie bellissima. E bellissimo è anche lui, tanto che viene presentato a Madonna come «The Abs», gli addominali. Però, una sera, si trova sul davanzale del suo appartamento al quindicesimo piano a chiedersi che farsene di tutto quel lusso e degli eccessi. Se non è quella la sua strada, allora qual è? La risposta arriva come un colpo di fulmine, nascosta dentro un libro: l'ultramaratona. Nel giro di un anno diventa uno dei campioni più forti al mondo, ma vincere per lui non conta. L'ultra è una sfida con se stessi, non con gli altri: correre per centinaia di chilometri, in tutte le condizioni atmosferiche, tra i ghiacci del Canada o con cinquanta gradi nella Valle della Morte, spingendo il corpo e la mente oltre ogni limite immaginabile. Passo dopo passo, mentre le gambe cedono e i muscoli si disfano, nella solitudine di una corsa infinita, Michele vive gli opposti: la sua fragilità estrema di fronte alla natura e la forza della sua volontà, che si libra oltre la fisicità, per esplorare cosa c'è dopo la fatica e il dolore. In questo libro, Folco Terzani racconta la straordinaria storia di un ragazzo che aveva tutto ma non era niente, e nel ritorno all'atto primordiale della corsa ha trovato la sua libertà, il suo coraggio, il suo essere più puro. Perché alla fine l'ultra non è più uno sport: è un mezzo per arrivare alla natura e a se stessi.

 

Michele Graglia e Folco Terzani

Gli autori. Folco Terzani, figlio del famoso giornalista Tiziano Terzani, scomparso nel 2004, è nato a New York nel 1969 e ha vissuto la sua infanzia tra vari paesi, seguendo gli spostamenti del padre. Ha frequentato scuole in tutto il mondo, inclusa una scuola pubblica a Pechino. Si è laureato in Lettere Moderne a Cambridge e in Cinema a New York. Dopo un’esperienza di un anno alla casa dei morenti di Madre Teresa in Calcutta, ha girato il documentario "Il primo amore di Madre Teresa". Affascinato dall’Asia, ha anche girato un film sui Sadhu dell’Himalaya.
Nel 2006 ha curato "La fine è il mio inizio. Un padre racconta al figlio il grande viaggio della vita" (Longanesi), il libro postumo di Tiziano Terzani, che, sapendo di essere arrivato alla fine del suo percorso, parla al figlio Folco di cos'è stata la sua vita e di cos'è la vita. Proprio a partire da queste conversazioni ha in seguito curato la sceneggiatura dell'omonimo film. Nel 2011 ha pubblicato A piedi nudi sulla terra (Mondadori) e nel 2016 La santa. Accanto a Madre Teresa, in collaborazione con Mario Bertini. Di recente uscita, il volume "Il Cane, il Lupo e Dio" (Longanesi, 2017).
Michele Graglia (Sanremo 1983) è uno dei più forti ultramaratoneti a livello mondiale. E ciò è indiscutibile anche se sino a questo momento non è mai stati selezionato per far parte di una rappresentativa italiana ai campionati del mondo di ultramaratona (100 km, 24 h) e di ultratrail.
Ha iniziato la sua carriera come fotomodello a Miami e successivamente a New York per i maggiori brand internazionale. Una carriera iniziata per caso, poichè si trovava in Florida per tutt'altri motivi.
Da un certo momento in poi, ha iniziato a dedicarsi alle corse sulle lunghissime distanze.
Dal 2011 ha intrapreso con successo alcune delle gare più estreme di ultramaratona ed ultratrail, prima negli Stati Uniti e poi in molti altri paesi del pianeta. Ritornato in Italia ha dato vita alla Ultra Milano-Sanremo, sullo stesso percorso della classica ciclistica Milano-Sanremo e ha trionfato nella prima edizione che ha avuto luogo nel 2014.

 

Sembra quasi una fiaba la vita di Michele Graglia. Arrivato in America per cercare nuovi clienti per l’azienda di famiglia, si ritrova, grazie ad un incontro casuale, catapultato nel mondo dell’alta moda.  Da quel momento in poi, Michele vive la vita che molti vorrebbero. Poco lavoro, moltissimi soldi, feste esclusive con personaggi importanti, macchine di lusso e appartamenti con vista mozzafiato nelle più belle città d’America.  Ma c’è qualcosa, in tutto quel mondo scintillante e favoloso, che Michele sente di non avere e di non poter comprare. Qualcosa che gli sfugge. Come se, circondato da così tante cose, da così tante persone, non ci fosse un senso nella sua vita e in quella di chi, come lui, vive in quella “gabbia dorata” che molti invidiano.  Questo pensiero, nato dopo una serie di esperienze assai “forti”, lo porterà a guardare la sua bella vita dorata sotto un’altra luce e a cercare un nuovo senso per la propria vita. Sarà in una piccola libreria di New York che Michele conoscerà il mondo delle Ultramaratone, gare estreme in cui i partecipanti devono andare oltre i propri limiti.  Ed è entrando in questo mondo che Michele avrà modo di incontrare Folco Terzani. Dopo un iniziale diffidenza i due stringeranno una fortissima amicizia che li porterà a condividere l’esperienza e il mondo delle Ultramaratone.  “Però conoscendolo bene non sta bene quel poveraccio. Che poveraccio non lo è, perché ha più soldi di quello che possiamo immaginare. Ma la mattina si alza e non ha ancora trovato quello che lo rende felice nella vita, perché chiaramente nonostante i miliardi di shopping tutti i giorni e il jet privato e il motoscooter e le donne e gli uomini che si può comprare non ha raggiunto quello che realmente conta. Ma allora? Ma allora? Gente che nella vita non fa nulla, ma nulla nulla. Non deve neanche lavorare perché ha talmente tanti soldi che è libera quanto le pare. Per generazioni! Quindi può fare tutto quello che vuole, ma non trova un senso nella vita. Perché alla fine ti alzi al mattino e ti chiedi “chi sono io? Cosa faccio nella vita? Compro cose?”. Lui era in depressione totale, alcolizzato, sempre fatto di Xanax e di chissà quali altre pastiglie, perché non riusciva a sopportarsi. Quella visione mi ha toccato tanto in quel momento. Solo, senza più un obiettivo. Perdi il senso. E se non hai il senso puoi avere tutto quello che vuoi, ma non ti sentirai mai appagato come persona. Questo è quello che mi ha fatto capire quell’angelo biondo. Poveraccio.”(pag.47).  Sono rimasto profondamente colpito dalla storia di Michele Graglia, un modello che aveva tutto quello che poteva desiderare nella vita e che decide, dopo un lungo e sofferto percorso, di gettare la propria carriera per non scendere a compromessi, per non arrendersi e trovare il proprio posto nel mondo, la propria identità, il proprio scopo nella vita.  In questo libro scritto a quattro mani da due autori eccezionali, Terzani e Graglia, mi sono ritrovato a leggere non solo lo straordinario percorso di vita di Michele, un percorso tormentato fatto di successi e sconfitte, ma anche la continua e instancabile ricerca di identità in un mondo sempre più fasullo e artefatto.  Un libro, a mio parare importante, che invita il proprio lettore a porsi delle domande che qualcuno reputerebbe “scomode” o “difficili” come solo il cercare di capire chi si è davvero può essere.  Un libro che, personalmente, mi sento di consigliare vivamente a chiunque sia in cerca di qualcosa di straordinario (Recensione di Gabriele Scandolaro)

Sembra quasi una fiaba la vita di Michele Graglia. Arrivato in America per cercare nuovi clienti per l’azienda di famiglia, si ritrova, grazie ad un incontro casuale, catapultato nel mondo dell’alta moda. Da quel momento in poi, Michele vive la vita che molti vorrebbero. Poco lavoro, moltissimi soldi, feste esclusive con personaggi importanti, macchine di lusso e appartamenti con vista mozzafiato nelle più belle città d’America. Ma c’è qualcosa, in tutto quel mondo scintillante e favoloso, che Michele sente di non avere e di non poter comprare. Qualcosa che gli sfugge. Come se, circondato da così tante cose, da così tante persone, non ci fosse un senso nella sua vita e in quella di chi, come lui, vive in quella “gabbia dorata” che molti invidiano. Questo pensiero, nato dopo una serie di esperienze assai “forti”, lo porterà a guardare la sua bella vita dorata sotto un’altra luce e a cercare un nuovo senso per la propria vita. Sarà in una piccola libreria di New York che Michele conoscerà il mondo delle Ultramaratone, gare estreme in cui i partecipanti devono andare oltre i propri limiti. Ed è entrando in questo mondo che Michele avrà modo di incontrare Folco Terzani. Dopo un iniziale diffidenza i due stringeranno una fortissima amicizia che li porterà a condividere l’esperienza e il mondo delle Ultramaratone. “Però conoscendolo bene non sta bene quel poveraccio. Che poveraccio non lo è, perché ha più soldi di quello che possiamo immaginare. Ma la mattina si alza e non ha ancora trovato quello che lo rende felice nella vita, perché chiaramente nonostante i miliardi di shopping tutti i giorni e il jet privato e il motoscooter e le donne e gli uomini che si può comprare non ha raggiunto quello che realmente conta. Ma allora? Ma allora? Gente che nella vita non fa nulla, ma nulla nulla. Non deve neanche lavorare perché ha talmente tanti soldi che è libera quanto le pare. Per generazioni! Quindi può fare tutto quello che vuole, ma non trova un senso nella vita. Perché alla fine ti alzi al mattino e ti chiedi “chi sono io? Cosa faccio nella vita? Compro cose?”. Lui era in depressione totale, alcolizzato, sempre fatto di Xanax e di chissà quali altre pastiglie, perché non riusciva a sopportarsi. Quella visione mi ha toccato tanto in quel momento. Solo, senza più un obiettivo. Perdi il senso. E se non hai il senso puoi avere tutto quello che vuoi, ma non ti sentirai mai appagato come persona. Questo è quello che mi ha fatto capire quell’angelo biondo. Poveraccio.”(pag.47). Sono rimasto profondamente colpito dalla storia di Michele Graglia, un modello che aveva tutto quello che poteva desiderare nella vita e che decide, dopo un lungo e sofferto percorso, di gettare la propria carriera per non scendere a compromessi, per non arrendersi e trovare il proprio posto nel mondo, la propria identità, il proprio scopo nella vita. In questo libro scritto a quattro mani da due autori eccezionali, Terzani e Graglia, mi sono ritrovato a leggere non solo lo straordinario percorso di vita di Michele, un percorso tormentato fatto di successi e sconfitte, ma anche la continua e instancabile ricerca di identità in un mondo sempre più fasullo e artefatto. Un libro, a mio parare importante, che invita il proprio lettore a porsi delle domande che qualcuno reputerebbe “scomode” o “difficili” come solo il cercare di capire chi si è davvero può essere. Un libro che, personalmente, mi sento di consigliare vivamente a chiunque sia in cerca di qualcosa di straordinario (Recensione di Gabriele Scandolaro)

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23 aprile 2017 7 23 /04 /aprile /2017 23:54
Tuscany Crossing - 100 km in Val d'Orcia 2017. Lara La Pera e Cinzia Sonsogno tengono alto l'orgoglio siciliano in un sogno lungo 103 km

S' è svolta tra il 22 e il 23 aprile 2017 la 5^ edizione del Tuscany Crossing - 100 km in Val d'Orcia, con diverse distanze competitive in programma. Alla gara sulla distanza maggiore (103 km e 3000 metri di dislivello positivo, con 24 ore di tempo massimo per compiere l'impresa) hanno partecipato anche cinque siciliani, di cui due le donne: Lara La Pera (ASD Marathon Misilmeri) e Cinzia Sonsogno /ASD Podistica Capo d'Orlando), che su un totale di 38 donne finisher si sono classificate rispettivamente 3^ con il crono di 12 h30'19" (distacco di 1h40'53" dalla prima classificata e 22^ nella classifica generale) e 5^ con il crono di 13h31'38, a 2h42'12 dalla prima e 49^ nella classifica generale).
Per la cronaca la vittoria al femminile è andata a Simona Morbelli (Salomon Team), 6^ assoluta con il crono di 10h49'26, mentre la gara maschile è stata vinta da Carlo Salvetti (Bergamo Stars Atletica) in 9h09'44.
Degli altri Siciliani presenti, Francesco Cesare (ASD Marathon Misilmeri), si è classificato 16° assoluto, con il crono di 11h44'56 e Pippo Ruggeri (ASD Polisportiva Forte Gonzaga), 44° assoluto, ha staccato il tempo di 13h18'19, mentre Roberto Magnisi si è fermato al 75° km.
Di seguito le impressioni di Lara La Pera.


 

Il podio femminile della gara lunga del Tuscany Crossing

Il podio femminile della gara lunga del Tuscany Crossing

(Lara La Pera) La sera prima della gara qualcuno mi disse "E' un sogno lungo 103 km..."
E aveva pienamente ragione!
Colline verdi attraversate da lunghi sentieri che, con un incessante saliscendi collegano tutti i borghi medievali della Val d'Orcia dove sonoerano state allestite le basi vita: Bagno Vignoni, Pienza, San Quirico, Montalcino, Vivo d' Orcia.
Si arriva fino a 1100 metri di quota, scalando il Monte Amiata attraverso un bosco incantato e lungo il caratteristico sentiero dell'acqua.
Al 90° km, dopo quasi 20 km ininterrotti di salita, inizia la discesa liberatoria, per attraversare Campiglia d'Orcia verso Rocca d'Orcia dove é situato l'arrivo...
Ma la fatica pura non è finita, perché al km 101 ci attende l'ultima salita di due km per conquistare la Rocca e tagliare così il traguardo.
La gara tecnicamente può essere divisa in due parti, i primi 50 km da Castiglione a Montalcino abbastanza scorrevoli con solo 1000 metri di dislivello e i restanti 53 km più impegnativi muscolarmente con 2000 metri di dislivello e con tratti un po' più tecnici attraverso i boschi.
Alla partenza alle 5.15 del mattino c'erano due gradi ma l'entusiasmo dei quasi 300 atleti al via, rendeva il freddo pungente più sopportabile.
Per riscaldarsi, c'è voluta più di un' ora tra salite e discese attraversando prati bianchi per il gelo.
Alle prime luci dell'alba, in un'atmosfera ovattata quasi surreale, abbiamo attraversato la piazza d'acqua a Bagno Vignoni, completamente avvolta dal vapore.
La giornata era limpida e per fortuna il sole ha iniziato a riscaldarci e a illuminare una natura veramente incantevole. Ho fatto tanti ultratrail in Italia e qualcuno anche in Francia, posso dire che il Tuscany Crossing è unico nel suo genere e affascinante al pari di gare molto più blasonate poiché ti fa attraversate un angolo di Italia unico per bellezze naturali e artistiche, portandoti ad alternare una natura brillante e rigogliosa a questi piccoli borghi medievali, a percorrere i corsi e le piazze, a scoprire chiese che hanno quasi mille anni di storia e poi a immergerti di nuovo nella natura silenziosa.
È stata un'esperienza unica.
Questi piccoli borghi si trovano tutti arroccati su delle colline... e per raggiungere le basi vita bisognava affrontare salite spesso abbastanza ripide... ma ne valeva la pena perché ai ristori, oltre a esserci tutto quello che un podista stanco può desiderare, c'era anche una calorosa accoglienza da parte dei volontari.
E poi dopo una lunga salita, c'è sempre una discesa.
A gli amici, amanti del trail, non posso che consigliare questa gara...
E' davvero un peccato non vivere questo sogno lungo 103 km.

Lara La Pera

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24 gennaio 2017 2 24 /01 /gennaio /2017 21:11

Race - Il colore della vittoria. Locandina del film(Maurizio Crispi) In "Race - Il colore della vittoria"(il film del 2016 di Stephen Hopkins, USA) viene raccontata l’epica e straordinaria storia del pluricampione del mondo Jesse Owens che, nato povero ma con un dono atletico straordinario, alle Olimpiadi del 1936 (ai Giochi della XI Olimpiade) lasciò Berlino e i potenti del Terzo Reich senza parole vincendo 4 medaglie d’oro (nei 100 e nei 200 metri piani, nel Salto in lungo e nella staffetta 4X100) ed entrando di diritto nella leggenda.
La storia del film presenta, dietro le imprese sportive di Jesse Owens, l'intreccio tra la realtà innegabile del razzismo ancora imperante in alcuni degli States e le persecuzioni dei Nazisti nei confronti degli Ebrei, ma anche il loro atteggiamento di rifiuto nei confronti di tutti i non ariani, comunque considerati espressione di "razze" inferiori, se non addirittura non aventi diritti di cittadinanza di alcun genere nei consessi internazionali.
Il film racconta le trattative dietro le quinte che consentirono di sbloccare l'atteggiamento degli Stati Uniti pronti a disertare i Giochi olimpici se il terzo Reich non fosse venuto a più miti consigli nell'ostentare le politiche discriminatorie anti-ebraiche: Goebbels, che considerava questi Giochi del 1936 una propria "creatura" che avrebbe dovuto glorificare il Reich ed esserne l'apoteosi sportiva, accettò le richieste americane (ma fu soltanto un compromesso ipocrita, all'insegna della prassi di mettere per un po' lo sporco sotto il tappeto, lasciando immutata la sostanza delle cose).
Altra storia nella storia è la presenza della cineasta del Reich Leni Riefenstahl che, dopo aver celebrato le grandezze del Reich con il film documentario "Il Trionfo della Volontà", ricevette da Hitler e da Goebbels il compito di realizzare un grande film sui Giochi olimpici berlinesi (Olympia il suo titolo, considerato tuttora un documentario sportivo di eccelsa qualità, realizzato con delle tecniche di ripresa grandiose ed avveniristiche) e che, malgrado la volontà di Goebbels che avrebbe voluto imporre la censura sulle imprese di Owens, si troverà a documentare le imprese sportive e i successi di questi.
E, infine, c'è la storia sfortunata di Carl Ludwig "Luz" Long, il campione tedesco che avrebbe dovuto vincere le gare di cui Owens conquistò l'Oro, e che venne punito per la sua "debolezza" e ,soprattutto, per aver fraternizzato sportivamente con Owens senza cedere agli ordini di scuderia, con l'immediato arruolamento e l'invio al fronte (dove poi morì per le ferite riportate nei combattimenti che seguirono lo sbarco in Sicilia, a Caltagirone, durante l'operazione Husky gestita dalle forze alleate).
Jesse OwensLa parte propriamente sportiva, tecnica ed anche documentaristica su quei Giochi, in questo intreccio di storie si perde, ma ciò che conta è il filo rosso della parabola morale che percorre l'intero film.
Anche dal punto di vista scenografico appare ben poco di questi Giochi: abituati come siamo ai giochi olimpici contemporanei e alla loro imponenza sia per numero di nazioni rappresentate sia per varietà delle discipline sportive praticate, quei giochi ci sembrano estranei e lontani, soprattutto perché le nazioni presenti erano allora ben poche e gli stessi atleti non erano mai particolarmente numerosi.
Ma in questo caso il regista, presso dal suo intento storico non si preoccupa di dare uno scenario sportivo vero, autentico e palpitante: le uniche disfide che si vedono concretamentesono quelle in cui è impegnato Jesse Owens e il suo più diretto avversario:
sembra quasi che ci siano soltanto loro e che tutti gli altri atleti siano andati in dissolvenza...
In questo il film perde quella spettacolarità che avrebbe potuto avere. 
Da questo punto di vista, indubbiamente, "Momenti di Gloria" (1961, sette nomination oer l'Oscar e quattro premi Oscar attribuiti tra i quali quello al Miglior Film) è stato un film molto più riuscito e quasi sublime (con un'elegante trattazione perfino della discriminazione in Francia nei riguardi degli Ebrei).

E questo video fornisce un'interessante rettifica sul rifiuto di Hitler di stringere la mano di Jesse Owens, in quanto "negro". Le cose non andarono così. E viene sottolineato nello stesso video, così come viene precisato nei titoli di coda del film "Race" che il Presidente degli USA Roosevelt non ricevette mai Jesse Owens per congratularsi con lui.

Jesse Owens e la bufala della stretta di mano nagata da Hitler
L’atleta disse: Hitler non mi snobbò affatto fu piuttosto Roosevelt che evitò di incontrarmi

Com'è noto Jesse Owens fu il primo atleta nero a vincere le Olimpiadi, e precisamente lo fece nel 1936 a Berlino, nella Germania hitleriana.
Questo evento storico, a cui recentemente era stato dedicato anche uno spot di "Fatsweb", dal dopoguerra in poi è stato però sempre accompagnato dalla diffusione di una leggenda metropolitana, smentita dallo stesso atleta.
le Olimpiadi di Berlino, svoltesi nella prima metà di agosto del 1936, sono nell’immaginario collettivo quelle di Jesse Owens, l’atleta statunitense di colore a cui Hitler si rifiutò di stringere la mano. 
Negli Stati Uniti molti erano perplessi a causa dell’opportunità propagandistica che veniva offerta alla Germania e si sviluppò anche un movimento di boicottaggio ai Giochi olimpici. Lo stesso Presidente Roosevelt era favorevole a questo movimento e per meglio rendersi conto della situazione mandò a Berlino un suo inviato, il miliardario ultraconservatore Avery Brundage, che in futuro sarebbe diventato il presidente del CIO, il Comitato Internazionale Olimpico. Ma Brundage, con grande scorno di Roosevelt, tornò in patria entusiasta dell’operato dei tedeschi.
Hitler non badò a spese: fece costruire uno stadio della capienza di 100.000 spettatori vicino ad un campo di parata dove si potevano riunire addirittura mezzo milione di persone. La cerimonia di inaugurazione si tenne il 1° agosto, in un tripudio di svastiche, con 120.000 persone che gridavano freneticamente “Heil Hitler!”
Il solenne cerimoniale culminò con l’ingresso nello stadio del tedoforo che portava la fiaccola olimpica, l’ultimo dei 3.075 staffettisti che si erano dati il cambio ogni mille metri lungo i 3.075 chilometri fra Atene e Berlino. Da allora, quella procedura si sarebbe ripetuta ad ogni Olimpiade. Ma questo non fu l’unico “primato” organizzativo. Le undicesime Olimpiadi passarono anche alla storia perché furono le prime riprese dalla televisione e per il bollettino “Olympia Zeitung” stampato in 14 lingue con una tiratura quotidiana di 300.000 copie. Il numero dei partecipanti superò ogni precedente cifra: 4.066 di cui 328 donne in rappresentanza di 49 nazioni. Un altro fatto nuovo fu l’eccezionale flusso turistico alimentato dai Giochi: più di 2.000 treni speciali portarono a Berlino centinaia di migliaia di stranieri e dai locali pubblici sparirono i cartelli con la scritta “gli ebrei sono indesiderati”.
Particolare cura fu dedicata alla preparazione tecnica degli atleti tedeschi, che il regime voleva che prevalessero su tutte le altre nazioni, per completare anche dal punto di vista sportivo il trionfo delle Olimpiadi berlinesi. E così tutti gli atleti della rappresentativa tedesca andarono in ritiro per tre mesi nella Selva Nera, per prepararsi degnamente.
E i risultati furono aderenti alle aspettative del Terzo Reich: la Germania si classificò prima vincendo 88 medaglie, di cui 33 d’oro, 26 d’argento e 29 di bronzo. Gli USA si dovettero accontentare del secondo posto con un numero complessivo di 56 medaglie (24 d’oro, 20 d’argento e 12 di bronzo). Al terzo posto l’Italia con 22 medaglie, di cui 8 ori, 9 argenti e 5 bronzi, anche se il terzo posto, in base agli odierni criteri di classificazione, spetterebbe all’Ungheria che guadagnò un numero complessivamente minore di medaglie rispetto all’Italia (16) ma 11 di queste erano d’oro. Seguivano la Svezia con 20 medaglie, Finlandia e Francia con 19 ciascuna, Giappone con 18, Olanda con 17, Svizzera con 15, Gran Bretagna con 14, Austria con 13, fino a concludere con Filippine e Portogallo con una sola medaglia di bronzo a testa. Le potenze di quello che da lì a quattro anni sarebbe diventato l’Asse, dunque, si aggiudicarono oltre il 40% del medagliere complessivo.
Nella gara del salto in lungo però si classificò quarto con la misura di 7,73 e mancò il podio di un soffio fu l’italiano Arturo Maffei, un grande dell’atletica italiana, nato a Viareggio il 9 novembre 1909, che iniziò la sua brillante carriera sportiva nel 1926 nel calcio, come portiere di una squadra parrocchiale di Peretola. Maffei vinse otto titoli di campione d’Italia fra il 1930 e il 1940, vestì per 25 volte la maglia della nazionale e partecipò due volte ai campionati europei. 

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13 settembre 2016 2 13 /09 /settembre /2016 10:19
Aggiornata la classifica mondiale dei Supermaratoneti (Michele Rizzitelli)

E' stata aggiornata di recente la classifica mondiale dei supermaratoneti, cioè di quei runner che, spinti dal desiderio di totalizzare nel proprio personale palmarés quante più maratone sia possibile, ne hanno corso da 300 in su.
Tale classifiche stilata da un giapponese, appartenente al "100 Marathon Club Japan" e denominata "The World Megamarathon Ranking 300+, viene sottoposta ad un aggiornamento semestrale con dati che confluiscono da tutti i diversi club di super-maratoneti del mondo (club che in genere accolgono quei runner che abbiano nel proprio curriculum almeno 100 maratone).

A commento dell'aggiornamento del ranking mondiale dei supermaratoneti, l'estensore - con molto fair play - somministra una bacchettata al Club Supermarathon Italia che non si è adeguato nell'inviare dati aggiornati sui propri iscritti in tempo utile, prima dello scadere di ogni semestre.
Sall'esame della graduatoria si apprende con piacere che la pugliese Angela Gargano è la quinta donna nel ranking mondiale, con 722 maratone corse.
Conducono la graduatoria tra gli uomini il tedesco Christian Hottas, con 2446 maratone al suo attivo e la connazionale Sigrid Eichner, con 1991 maratone corse: entrambi, dunque, con numeri stratosferici...
Di seguito l'articolo di Michele Rizzitelli (entrambe le foto che corredano questo articolo sono state fornite da Michele Rizzitelli).

(Michele Rizzitelli) Come avviene puntualmente, il sito giapponese che si occupa di stilare la classifica annuale dei super-maratoneti ha pubblicato la “The World Megamarathon Ranking 300+”, la classifica mondiale che raccoglie gli atleti con più di 300 maratone/ultramaratone all’attivo.

Nel sito in questione l’aggiornamento di tale graduatoria viene fatto due volte all’anno, a fine giugno e fine dicembre.
Vito Piero AncoraL’estensore-statistico, Shinichi Nose, membro del 100 Marathon Club Japan, l’ha divulgata con un breve commento, nel quale non esprime un giudizio proprio lusinghiero sul Club Super Marathon Italia, cui è deputato l’invio dei dati dei supermaratoneti italiani, per la non puntuale collaborazione: consiglio somministrato, ovviamente, con garbo tutto orientale: “Unfortunately, the most of Italian and Polish data are old as they do not gather their data”.
Questa la graduatoria al 30/06/2016, tenendo presente che gli italiani risultano penalizzati dal non essere il numero delle loro gare aggiornato a tale data.
Fanno eccezione Vito Piero Ancora, Angela Gargano e Michele Rizzitelli, soci del 100 Marathon Club Deutschland. Per inciso, si fa notare che il club tedesco provvede ad aggiornare i dati dei suoi iscritti ogni tre mesi!
CLASSIFICA MASCHILE
1) CHRISTIAN HOTTAS (DEU) 2.446
2) KALEVI SAUKKONEN (FIN) 2.010
3) HORST PREISLER (DEU) 1.806
22) VITO PIERO ANCORA (ITA) 922
36) WILLIAM GOVI (ITA) 764
37 GIUSEPPE TOGNI (ITA) 761
49) MICHELE RIZZITELLI (ITA) 701
50) LORENZO GEMMA (ITA) 700
Per i più curiosi, scorrendo la graduatoria fino in fondo, all’ultimo posto si trova Fabio Marri. Con 300 maratone è 436°. E’ autorizzato ad aggiornarne il numero per scrollarsi di dosso una posizione che non gli compete.
CLASSIFICA FEMMINILE
1) SIGRID EICHNER (DEU) 1.994
2) TOSHIKO WATANABE (JAP) 1.611
3) NORIKO SAKOTA (JAP) 1.120
4) ROSEMARIE VON KOCEMBA (DEU) 853
5) ANGELA GARGANO (ITA) 722
16) MARINA MOCELLIN (ITA) 500
32) MARIA RITA ZANABONI (ITA) 400
66) GIOVANNA CARLA GAVAZZENI (ITA) 311
E’ auspicabile che il Club Super Marathon Italia, con un piccolo sforzo, si adegui agli standard internazionali di rilevamento delle classifiche, per non lasciare l’Italia fra le ultime della classe. Se non altro per motivo di orgoglio!
Una cosa è certa: Sergio Tampieri, fondatore del Club, non si sarebbe mai fatto rinfacciare un simile rimprovero.

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7 settembre 2016 3 07 /09 /settembre /2016 09:31
Campionati regionali siciliani individuali master su pista 2016 (41^ ed.). Giuseppe Licitra per la compagine ASD No al Doping campione regionale nei 5000 metri nella categoria SM60

Giuseppe Licitra della Società ASD No Al Doping Ragusa Ibla si è laureato campione regionale di categoria SM60 sulla distanza 5000 mt su pista in occasione dei 41° Campionato Regionale Individuale Master su pista che si è svolto tra il 3 e il 4 settembre a Enna presso lo Stadio di Atletica "Tino Pregadio".

Giuseppe Licitra ASD No al Doping Ragusa IblaDomenica da incorniciare quella appena trascorsa per la Società ASD no al Doping di Ragusa Ibla per aver assistito alla vittoria di Giuseppe Licitra, laureatosi Campione Regionale di Categoria SM60, che accoglie gli atleti con età superiore a 60 anni, di corsa su pista sulla distanza dei 5000 metri a Enna, con uno strepitoso tempo di 20’24”60.

Il forte atleta, proveniente da Vittoria, dopo un trascorso giovanile nella compagine “Rosario Cancellieri” verso gli anni ‘80, è rientrato in pista con i colori della della società ASD No al Doping e alla Droga di Ragusa Ibla.

Il suo  obiettivo a più breve scadenza è quello di vincere il titolo provinciale di corsa su strada FIDAL, nel quale campionato é già in testa, così da sentire il profumo della vittoria sempre più intenso.

Prossimo appuntamento per appassionati e addetti ai lavori sarà il Memorial Peppe Greco a Scicli il prossimo 24 settembre dove, oltre a vedere i campioni mondiali di specialità, da quest’anno si disputerà una prova del campionato provinciale di corsa.

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23 maggio 2016 1 23 /05 /maggio /2016 23:30
Nove Colli Running 2016 (19^ ed.). E' la statunitense Brenda Guajardo la prima assoluta in 20h20'

La statunitense Brenda Guajardo ha trionfato alla Nove Colli Running 2016 sulla distanza di 202,400 km, considerata una delle più dure ultramaratona su strada al mondo (e che ha visto lo start sabato 21 maggio a Cesenatico), risultando non solo prima tra le donne, ma anche prima assoluta e stabilendo - tra l'altro -, con il crono di 20h20' il nuovo record femminile della corsa (e il suo personale, rispetto alla precedente partecipazione nel 2015).
Dopo aver tagliato il traguardo di Cesenatico Brenda si è concessa un pianto liberatore dalla tensione e di commozione.
Well done, Brenda!
L'anno scorso Brenda era "Brenda Guajardo Carawan" e, all'arrivo da vincitrice tra le donne, ha sventolato la bandiera statunitense. Quest'anno, invece, era iscritta in gara solo come "Brenda Guajardo" e, all'arrivo (prima assoluta), ha sventolato la bandiera italiana.
Forse, quest'anno Brenda si sente un po' più italiana di quanto non fosse nel 2015.
E di questo non possiamo che essere contenti.
Per la cronaca, sono stati 176 i partenti per la gara individuale e circa una ventina gli staffettisti.

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23 maggio 2016 1 23 /05 /maggio /2016 12:08
(foto di repertorio:partenza dell'edizione 2015)

(foto di repertorio:partenza dell'edizione 2015)

Enzo Tidona (foto d'archivio Sicilia Running)In 30 ore (con un discreto margine rispetto al tempo massimo concesso secondo regolamento) Enzo Tidona di Vittoria tesserato con la ASD No al Doping di Ragusa, ha tagliato il traguardo della Nove Colli Running (edizione 2016, andata in scena tra il 21 e il 22 maggio), l'ultramaratona più dura in Italia (e una delle più dure al mondo) sulla distanza di 202,400 km, con partenza da Cesenatico (Porto Canale) il sabato 21 maggio ed arrivo sempre sul lungomare di Cesenatico la domenica dopo appunto appena 30 ore dallo start.

Enzo Tidona con questa impresa "eroica" ha postomesso una pietra miliare nella disciplina dell'ultramaratona, UNICO atleta della provincia Iblea a aver mai tagliato un traguardo simile.

Enzo Tidona per prepararsi alla Nove Colli Running ha lavorato duramente, con sedute di allenamenti di 70 km, seguiti da defaticamento effettuato in bici per poi riprendere la corsa a piedi.
Dai diigenti della sua Società Enzo Tidona viene definito "...un vero capolavoro di atleta che, scrivendo nel suo personale palmarés questo risultato, ha reso orgogliosa tutta la compagine ASD No al Doping" e ponendoper i suoi comprimari di società una pietra miliare da emulare".

Adesso amici parenti e simpatizzanti lo attendono nella sua città con orgoglio e soddisfazione, per ingraziarlo di aver portato alto il valore dello sport e della volontà, e di aver dato lustro alla Città tutta che ha motivo di acclamarlo "eroe".
Per la cronaca, sono stati 176 i partenti della Nove Colli Running 2016, il 21 maggio mattina da Cesenatico e circa una ventina gli staffettisti.
Sempre per la cronaca, Enzo Tidona non è il primo siciliano a laurearsi finisher della Nove Colli Running: prima di lui - nel corso del 2014 - è stato finisher il messinese Alberto Bertuccio (ASD Filippide Messina), seguito nel 2015 dal marsalese Michele D'Errico, classificatosi 36° assoluto con il crono di 27h20'. Inoltre, a onor del vero, va anche detto che, accanto ad Enzo Tidona, ha tagliato il traguardo con lo stesso crono, il messinese Enzo Varriale (ASD FilippideMessina) che, tra l'altro, a sentire le testimonianze degli accompagnatori al seguito, ha avuto avuto per Tidona un'indubitabile funzione di supporto e di stimolo, all'insegnadella solidarietà.

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15 aprile 2016 5 15 /04 /aprile /2016 13:32
(www.ilrestodelcarlino.it)
(www.ilrestodelcarlino.it)

(www.ilrestodelcarlino.it)

Il forlivese Andrea Paganelli (guarda le foto) il 13 aprile è arrivato a Roma a piedi, in Piazza San Pietro.
L'impiegato 49enne e ultramaratoneta per passione, Andrea Paganelli é partito nella mattina di domenica 10 aprile dalla chiesa di Carpena (Forlì) ed è arrivato di mercoledì in piazza San Pietro, nel cuore di Roma Capitale
«Quest’impresa non è stata concepita come un'ultrarmaratona in solitaria né come una sfida né come una gara contro il cronometro. Io l'ho concepita e la voglio interpretare come un pellegrinaggio vero e proprio, per trasmettere un messaggio di pace», aveva dichiarato alla vigilia.
E' stato un viaggio di circa 120 chilometri al giorno, per un totale di 340 km..
Paganelli in passato ha partecipato alla Spartathlon, l’intera distanza tra Atene e Sparta, che misura ‘solo’ 246 chilometri.
Il figlio Simone lo ha seguito in macchina, dandogli tutta la necessaria assistenza.
E, alla fine, davanti alla Basilica di San Pietro ha posato per alcune foto ricordo con uno striscione che vuole trasmettere n messaggio di pace.

Fonte: www.ilrestodelcarlino.it

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Presentazione

  • : Ultramaratone, maratone e dintorni
  • : Una pagina web per parlare di podismo agonistico - di lunga durata e non - ma anche di pratica dello sport sostenibile e non competitivo
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  • Ultramaratone, maratone e dintorni
  • Mi chiamo Maurizio Crispi. Sono un runner con oltre 200 tra maratone e ultra: ancora praticante per leisure, non gareggio più. Da giornalista pubblicista, oltre ad alimentare questa pagina collaboro anche con altre testate non solo sportive.
  • Mi chiamo Maurizio Crispi. Sono un runner con oltre 200 tra maratone e ultra: ancora praticante per leisure, non gareggio più. Da giornalista pubblicista, oltre ad alimentare questa pagina collaboro anche con altre testate non solo sportive.



Etnatrail 2013 - si svolgerà il 4 agosto 2013


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Il perchè di questo titolo

DSC04695.jpegPerchè ho dato alla mia pagina questo titolo?

Volevo mettere assieme deio temi diversi eppure affini: prioritariamente le ultramaratone (l'interesse per le quali porta con sè ad un interesse altrettanto grande per imprese di endurance di altro tipo, riguardanti per esempio il nuoto o le camminate prolungate), in secondo luogo le maratone.

Ma poi ho pensato che non si poteva prescindere dal dare altri riferimenti come il podismo su altre distanze, il trail e l'ultratrail, ma anche a tutto ciò che fa da "alone" allo sport agonistico e che lo sostanzia: cioè, ho sentito l'esigenza di dare spazio a tutto ciò che fa parte di un approccio soft alle pratiche sportive di lunga durata, facendoci rientrare anche il camminare lento e la pratica della bici sostenibile. Secondo me, non c'è possibilità di uno sport agonistico che esprima grandi campioni, se non c'è a fare da contorno una pratica delle sue diverse forme diffusa e sostenibile. 

Nei "dintorni" della mia testata c'è dunque un po' di tutto questo: insomma, tutto il resto.

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Come nasce questa pagina?

DSC04709.jpeg_R.jpegL'idea motrice di questo nuovo web site è scaturita da una pagina Facebook che ho creato, con titolo simile ("Ultramaratone, maratone e dintorni"), avviata dall'ottobre 2010, con il proposito di dare spazio e visibilità  ad una serie di materiali sul podismo agonistico e non, ma anche su altri sport, che mi pervenivano dalle fonti più disparate e nello stesso tempo per avere un "contenitore" per i numerosi servizi fotografici che mi capitava di realizzare.

La pagina ha avuto un notevole successo, essendo di accesso libero per tutti: dalla data di creazione ad oggi, sono stati più di 64.000 i contatti e le visite.

L'unico limite di quella pagina era nel fatto che i suoi contenuti non vengono indicizzati su Google e in altri motori di ricerca e che, di conseguenza, non risultava agevole la ricerca degli articoli sinora pubblicati (circa 340 alla data - metà aprile 2011 circa - in cui ho dato vita a Ultrasport Maratone e dintorni).

Ho tuttavia lasciato attiva la pagina FB come contenitore dei link degli articoli pubblicati su questa pagina web e come luogo in cui continuerò ad aprire le gallerie fotografiche relative agli eventi sportivi - non solo podistici - che mi trovo a seguire.

L'idea, in ogni caso, è quella di dare massimo spazio e visibilità non solo ad eventi di sport agonistico ma anche a quelli di sport "sostenibile" e non competitivo...

Il mio curriculum: sport e non solo

 

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