A Palermo, Villa dello Stadio (ex-Villa Case Rocca): al mattino presto il suo viale perimetrale, rivestito di una strato di sottile polvere calcarea compressa, è pieno di lombrichi di tutte le dimensioni. Che ci fanno lì?
E' come se avessero intrapreso una grande migrazione di massa come quella dei Gerbilli nella storia della Oggero (Margherita Oggero, Così parlò il nano da giardino, Einaudi, 2011) oppure come quella suicida - ma questa è piu' che altro una leggenda che i biologi non confermano - dei lemming.
Ma sostanzialmente, rimane tutto avvolto nel mistero piu' profondo...
Se si guarda bene, capitando lì presto al mattino, quando ancora tutto è abbastanza in ombra, si potrà constatare che il viale è percorso da lunge tracce scavate dal corpo fusiforme, umido e viscido dei lombrichi che vanno avanti grazie a continui accorciamenti e allungamenti del loro corpo allungato e sottile. I lombrichi che sono andati avanti appaiono tutti biancastri e quasi infarinati dal fine terriccio. Le tracce che hanno lasciato sono dapprima dritte e rettilinee e poi, da un certo punto in avanti, si fanno a volute, a cerchi concentrici, ritornano indietro per poi arrestarsi del tutto.Mettendoci dentro un pizzico di fantasia, ci si può fare un'idea della loro storia.
I lombrichi spinti da un improvviso impulso hanno deciso di abbandonare la terra grassa del prato dove erano nati e dove da tempo vivevano stanziali, soddisfatti di quello che avevano, e hanno deciso di attraverso il viale largo quasi dieci metri (per loro un vero e proprio deserto) per andare a vedere come si trovavano nel prato dall'altro, forse alla ricerca di nuovi terreni da scavare e dissodare, o forse soltanto per la curiosità di vedere fuori dal loro piccolo pezzetto di mondo.
Insomma: come se avessero deciso di andare a vedere cosa si nasconde dietro l'orizzonte...
Armati di coraggio e determinazione, i piccoli lombrichi hanno iniziato la lunga e perigliosa traversata: e, secondo me, ce ne vuole di coraggio ad affrontare un mondo vasto e sconosciuto essendo così picoli, fragili ed indifesi.
Posso solo immaginare che essi abbiano iniziato la loro traversata con il favore delle tenebre, sia per sfruttare al massimo il fresco e l'umidità delle ore notturne, sia per approfittare del sonno delle specie ostili (e soprattutto di tutti quei volatili che li becchetterebbero voluttuosamente o li catturebbero per darli in pasto ai propri piccoli).
I lombrichi sono andati avanti faticosamente, come i migranti di un tempo attraverso i territori ancora vergini al di là della Frontiera... Infatti, le loro tracce sono dapprima rettilinee... Poi non si sa cosa sia accaduto: fose hanno perso il senno, forse la loro capacità di orientamento si è dissolta e il richiamo chimico dei campi fertili dall'altro lato del deserto ha cessato di esercitare il suo fascinoso richiamo.
O forse, è accaduto solo questo: che, ad un certo punto, si sono scoraggiati e, perdendosi d'animo, hanno cominciato a temere che non sarebbero arrivati da nessuna parte.
Oppure, forse traditi dall'ora legale, sono stati sorpresi dalle prime luci dell'alba. Hannno invertito la rotta e hanno cercato di ritornare indietro, alla loro casa confortevole, ai terreni ben dissodati che avevano abitato sino a poco tempo prima, alle loro gallerie esplorate e ben tenute.
Poi la tragedia: si sono resi conto che la via di casa l'avevano smarrita, che nella piatta uniformità della distesa desertica su cui si trovavano non avevano piu' alcun punto di riferimento e che avrebbero continuato a girare in tondo per sempre, sino alla morte. Ecco perchè le loro tracce a questo punto cessano di essere lineari e si fanno contorte, a ghirigori, a spirale e non conducono piu' a nessuna parte.
Queste tracce circonvolute rimandano ad una sensazione di hopelessness, mancano che le tracce circolari e concentriche hanno un raggio via via minore, sino a ritorcersi su se stesse.
Quando è sorto il sole, loro erano già del tutto immobili, alcuni distesi in tutta la loro lunghezza, altri rattrappiti e avvoltolati su se stessi. Immobili: forse perchè era il riflesso del morto manifestarsi - come ultima protezione biologica - per consetir loro un risparmio energetico e il recupero.
Oppure è stata la semplice disperazione, la consapevolezza che non c'era piu' nessun posto a cui si possa arrivare, che non c'era piu' tempo per mettersi in salvo.
Sorpresi dalla luce del nuovo giorno e nel bel mezzo di un deserto non é rimasto loro altro destino che quello di essere beccati e divorati da qualche specie di volatile predatore per cui i lombrichi - da sempre - sono un gustoso e grasso boccone, oppure ancora quello d'essere schiacciati da qualche gigante in transito (un cavallo, un cane, oppure gli Umani) o di essere prosciugati e disseccati dal calore del sole, contro il quale i poveri lombrichi non hanno nessuna difesa naturale efficace.
Onore ai lombrichi, tuttavia, e alla loro intreaprendenza. Anche se la loro impresa è fallita e non sono arrivati alla meta ambita, smarrendo al tempo stesso la via di casa per fare ritorno, almeno si può dire di loro - come ultimo epitaffio - che sono stati avventurosi ed intraprendenti. Ci hanno tentato: per un giorno hanno provato ad uscire dalle loro tane sicure, andando alla ricerca di nuovi terreni di caccia e, nel far questo, affrontando un'impresa dall'esito incerta.
I lombrichi esploratori ed intraprendenti ci offrono - come dice il mio amico Gianfranco - la rappresentazione d'una grande metafora della vita ed anche di molte imprese podistiche impegnative nelle quali noi podisti ci lanciamo, seguendo - il piu' delle volte - un potente richiamo interiore, quello di andare oltre i limiti geografici, fisici e mentali all'interno dei quali altrimenti consumeremmo le nostre vite.
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