(Maurizio Crispi) Il post di Filippo Castiglia su "Corsa y Mucho Mas", dal titolo "Ad ognuno la sua corsa", fa riflettere in modo divertente sul fatto che, tante volte, in uno stesso luogo si trovano mescolati insieme podisti che declinano la loro corsa in maniera diversa, tutti uniti dalla stessa passione, ma con obiettivi e modi di interpretare la corsa a volte radicalmente diversi.
Nell'infinità varietà di "tipi" e di "ipertipi" podistici c'é indubbiamente un great divide tra i runner lenti (quelli che in origine vennero battezzati con un certo spregio "tapascioni") che vogliono correre just for fun e i podisti "schizzati", tutti presi dal cronometro e dal cardio-frequenzimetro, i fissati della perfomance di alto livello, i "tecnologici", quelli per cui mantenere lo stesso ritmo, fare le ripetute, allenarsi sui medi e sui corti veloci diventa un must imperioso ed irrinunciabile, e che - pur di perseguire i loro obiettivi, sottomessi come sono all'imperativo categorico di dover rispettare le tabelle, sarebbero capaci di travolgere bimbi in bici, bimbi che si divertono, mamme che spingono il passeggino... e così via.
Tra queste due categorie configuarano una differenza abissale tra quelli che vanno alla ricerca di un modo di essere ( i lenti che corrono per "essere") e i "veloci" o aspiranti tali, che corrono per avere, per conquistare, per possedere, per raggiungere un posto al sole nella classifica (il che magari può significare soltanto vedere il proprio nome nella seconda pagina, piuttosto che nella terza).
Questi sono i podisti "febbrili", gli ipercinetici, i rabbiosi, quelli che si rodono il fegato se non riuscono a salire sul podio di categoria o a rosicchiare una manciata di secondi al tempo finale di una gara.
E alcuni di questi, pur sempre ricadenti nell'insieme degli "amatori" nel loro approccio alla corsa sono ancora più ossessivi ed "efferati" dei runner élite, poiché probabilmente cercano di realizzare una fantasia interna di essere come costoro: e, quindi, impostano i loro allenamenti e la propria organizzazione all'insegna del "come se".
Giochiamo a fare i runner d'élitè! Let's play!
Ma poi dimenticano che si tratta di un gioco e perdono il senso della misura, fino a farsi male o a infortunarsi, in alcuni casi.
Costoro dovrebbero essere di tanto in tanto esortati energicamente:
Take it easy!
Relax yourself!
Fermati ogni tanto ad apprezzare il piacere della corsa lenta praticando la quale non devi dimostrare nulla a nessuno!
Ma forse non possono, non ce la fanno, o semplicemente non vogliono perché sono impegnati in una faccenda che è questione di vita o di morte.
Ma, così facendo, importano la competitivià della vita quotidiana e le sue nevrosi nella dimensione della corsa che così non è più divertimento, finendo con il diventare un vero e proprio lavoro, un secondo lavoro, o addirittura il primo, se si misurano le energie profuse in esso rispetto a quelle di un'attività lavorativa quotidiana, magari sedentaria.
Tanti dicono (e, se non lo dicono, lo pensano), arrivando al posto di lavoro dopo un allenamento sfibrante: "Adesso, finalmente, posso riposare un po'!"
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