Elena Cifali (ASD Movimento è Vita Gela) ha partecipato alla 6^ SuperMaratona dell’Etna che si è svolta sabato, 16 giugno 2012, concludendo la sua avventura in 7h31’.
E’ stata per lei un doppio upgrade rispetto alle precedenti esperienze podistiche dall’esordio nel mondo della corsa che l’hanno vista passare dalle gare più brevi, alla Mezza, alla Maratona, mettendoci dentro anche numerose gare di difficoltà diverse.
Un doppio upgrade, perché la Supermaratona dell’Etna si qualifica anche come gara 0-3000 – unica nel suo genere – poiché conduce i runner da 0 metri sul livello del mare (la partenza avviene dalla spiaggia di Marina di Cottone) alla quota di 3000 metri, quasi alla cima dell’Etna.
Ma, nello stesso tempo, la Supermaratona dell’Etna, sia pure di poco sconfina nell’ambito delle Ultramaratone (in cui, tecnicamente, rientrano tutte le gare podistiche che vanno oltre i classici 42,195 km della maratona).
Elena, dunque, in questa magica giornata, non solo ha corso da 0 a 3000 metri di quota, ma è anche entrata per la prima volta – e quasi senza accorgersene – nel reame delle Ultramaratone (che è nei suoi sogni poter esplorare).
E’ stato - come dicevamo - un doppio battesimo del fuoco, in cui Elena, su 16 donne partenti è stata l’ultima delle donne giunte al traguardo (8 le ritirate in corso di gara), ma non è stata l’ultima in classifica, visto che negli ultimi – fatidici – chilometri da Piano Provenzana ai 3000 metri di quota, ha superato una decina di concorrenti uomini.
Quindi non solo finisher, ma anche non ultima a tagliare il traguardo.
Nella carriera podistica di Elena, il 16 giugno 2012, rimarrà pertanto una data memorabile, quella di un doppio battesimo del fuoco.
Ma oltre all’aspetto tecnico, si deve aggiungere il “peso” emozionale della sua partecipazione ad una gara che ha visto la”piccola” Elena confrontarsi con “Sua Maestà” l’Etna e a concludere vincente il confronto: “Maestà sono arrivata alla tua Corte!”, paragonabile soltanto ad un’immaginaria scalata sino alla vetta dell’Olimpo dove dimorano gli dei degli antichi Greci: e non dobbiamo dimenticare peraltro che proprio i Greci ritenevano che all’interno del cratere dell’Etna dimorasse Efesto, il dio zoppo che forgiava i metalli e che conosceva i segreti del fuoco.
E fu così che, come tutti gli eroi dei miti e delle leggende, Elena Cifali, da quel giorno diventò “SuperElena” Cifali, pronta a vivere altre avventure e a raccontare altre storie.
Ed ecco il suo racconto.
(Elena Cifali) I Catanesi quando vogliono parlare dell’Etna dicono "Il vulcano" oppure “’a muntagna”. Per me, l’Etna è sempre Sua Maestà.
Ricordo ancora la prima volta che lo vidi nel 1992, quando ancora fresca di diploma di ragioneria mi trasferii a Catania per iniziare gli studi universitari e coronare un sogno che forse era più quello dei miei genitori che non il mio.
Era un giorno d’estate. La Madre superiora del Collegio di suore francescane - nel quale rimasi ospite pagante per due anni- mi accompagnò al primo ingresso nella stanza che avrei diviso con altre fortunate. Il mio primo gesto (forse per fuggire da un luogo che in quel momento non sentivo mio) fu quello di aprire le pesanti imposte di legno ed affacciarmi. Vidi uno spettacolo che non potrò mai dimenticare: l’Etna. Bello, fumante, nero, maestoso. Rimasi per qualche minuto ad osservarlo e da quel momento guardarlo al mio risveglio è un rito al quale difficilmente rinuncio.
Ed eccolo, oggi, Sua Maestà, ancora una volta davanti a me: è come se fissasse i miei occhi azzurri e mi dicesse “Vieni su, ti sto aspettando da 20 anni”!
Siamo sul mare, a Marina di Cottone: il mare è splendido, azzurro, gelato, limpido e cristallino e mi verrebbe voglia di tuffarmici dentro, ma conosco quant’è gelata la sua acqua e poi oggi si corre….
No, decisamente non posso fare il bagno!
Dietro la linea di partenza siamo quasi 150, pochissime le donne, tanti amici vecchi e nuovi, tante persone che mi conoscono e che mi salutano dimostrando un affetto sincero. Vicino a me l’inseparabile Salvo, il mitico Vincenzo, il buon Davide, il folle Piccione e il prezioso Luigi, ma non per ultimo il gigante buono: Pietro!
Già, Pietrone - come lo chiamo io - venuto apposta da Roma per partecipare alla sua prima 0-3000, ha acquistato un “giocattolino nuovo”, una bella video camerina “frontale” che si piazza sul capoccione e con la quale inizia a riprendere ogni cosa.
Fa caldo, molto caldo già dalle prima luci dell’alba e capisco da questo esordio che ci sarà da sudare, ma ancora non immagino quanto.
Ci siamo quasi, pochi minuti e si parte.
Si parte dalla spiaggia e devo fare molta attenzione a non fare entrare neppure un granellino di sabbia nelle scarpe.
Dopo lo sparo dello start, inizia la gara e con essa la festa.
Non vedo più i campioni, sono volati via veloci sull’asfalto mentre io e il mio gruppetto viaggiamo a velocità molto moderata, con parola d’ordine: “Risparmio energetico”. Seguo scrupolosamente i consigli di Davide, mi tengo vicina a Salvo, tengo d’occhio il Piccione e non mollo Luigi. Tutto bene: la salita si fa sentire quasi subito, inizio a bere immediatamente, le labbra si seccano presto e la gola arde.
Saliamo, saliamo ed ancora saliamo ad un passo costante, senza mai strappare, senza mai fare mosse azzardate. La più piccola fesseria ci comprometterebbe la gara e questo certo non lo vogliamo.
Lungo il tragitto e fino al 10° km ci segue in moto l’amico Claudio, si ride, si scherza, si parla, riesco anche a scambiare qualche parola con le signore anziane che si affacciano dalle loro abitazioni e che ci guardano con ammirazione. Di gare ne ho fatte tante, ma la cordialità e l’affetto che hanno dimostrato gli abitanti di Linguaglossa mi stupisce.
Prima del “traguardo volante” di Linguaglossa alzo gli occhi e vedo Ezio che mi saluta, gli consegno la macchina fotografica che avevo portato con me e continuo la mia corsa. Avere il su sostegno è stato molto utile, sia materialmente che psicologicamente. Gli do appuntamento ogni 2-3 km circa, anche se all’inizio me la cavo bene anche da sola.
La stanchezza inizia a farsi sentire, il caldo picchia forte e la pelle bagnata si abbronzerà pericolosamente, lasciando sul corpo il segno della magliettina e del pantaloncino.
Dopo il 15° km il mio gruppo si sfalda: Pietro e Vincenzo sono rimasti indietro, il Piccione e Davide sono volati via, Luigi ha concluso a Linguaglossa, chiedo a Salvo di lasciarmi e di andare via: “Io me la so cavare, tranquillo, arriverò”, lo saluto e lo vedo ancora una volta allontanarsi.
Da ora in poi sono sola. Inizia così la mia gara.
La strada diventa più dura, si inerpica, tornanti su tornanti ed ognuno di loro sembra schiaffeggiarmi.
Al 19° km faccio fatica a correre, i miei passi sono lenti e pesanti, potrei forzare e tirare ancora per un paio di chilometri, ma non oso farlo perché voglio sfruttare solo l’80% delle mie riserve.
Questa non è la classica maratona, per correre la quale ho imparato a conoscermi e a sapere cosa posso e cosa non posso chiedere al mio fisico. Qui, invece, sono di fronte ad un territorio ignoto e non so cosa mi aspetta fino al 43° km. Quindi, decido di camminare.
Davanti a me tre donne - tutte all’apparenza più fresche ed allenate - più sicure, ridono scherzano e si tengono per mano, ma nessuna di loro riuscirà a salire fino al traguardo, a dimostrazione del fatto che questa è una gara che riserva molte sorprese. Con me, invece, solo il silenzio, e il rombo dei motori dei mezzi degli assistenti.
Inizio a guardarmi attorno, mentre cammino a passo svelto e sciolto.
Il paesaggio è spettacolare, a tratti si vede il mare che si sposa con l’orizzonte, il profumo dei fiori di ginestra è inebriante, ma a farmi compagnia ci sono centinai di mosche che mi danno noia, come a tutti i corridori. Motteggiando tra me e me, penso che forse iniziamo a puzzare di morto e che loro – le mosche - fanno festa prima di iniziare il banchetto !
Mi abbandono ai miei pensieri ed inizio a pensare a mio marito, a mio figlio.
Non so come mai ogni volta che corro mi torna in mente mio nonno, al quale nella vita di tutti i giorni non penso quasi mai.
Penso a ciò che sto facendo e a quello che vorrò fare e mi perdo felice in un turbinio di emozioni.
Passo dopo passo sono quasi al 29° km, quando Ezio mi porta Luigi, che sceso dalla moto, inizia a farmi compagnia. E’ stata una sorpresa graditissima, sono sola da tanto tempo e inizia a farmi male la schiena.
E’ un dolore pungente, all’altezza dei reni, ma riesco ancora a controllarlo.
Con Luigi proseguiamo gomito a gomito fino al cancello di Piano Provenzana, dove mi cambio le scarpe e mi faccio spruzzare un po’ di ghiaccio spray sintetico sulle ginocchia e sui polpacci doloranti.
Saluto Ezio e, incamminandomi sullo sterrato, che per 10 km mi porterà a quota 3000 inizio a pensare: “Vabbè Elena, ormai il grosso è fatto, adesso sarà tutto più semplice”.
Macchè! Adesso, dopo aver fatto 19 chilometri di corsa, 14 di camminata veloce, dopo aver sofferto il caldo ed il sole, dopo aver fatto i conti con le mosche e con i miei pensieri, inizia il bello!
La salita è terribile, l’Etna mi schiaffeggia, le mie scarpe affondano nella morbida sabbia vulcanica e, a volte, ho l’impressione di fare passi a vuoto, e quando ciò succede, è come se mi trovassi sempre ferma allo stesso punto.
Il primo chilometro, dopo Piano Provenzana, l’ho fatto molto lentamente, quasi in uno stato di trance: ancora non mi rendevo conto, non immaginavo nemmeno lontanamente cosa mi aspettasse ancora.
Nella mia testa ero arrivata al passaggio di Piano Provenzana, e invece adesso mi rendevo conto che la gara – malgrado i chilometri già percorsi - era solo all’inizio.
Già, solo all’inizio perché col cambio delle scarpe mi sono dimenticato del dolore alle piante dei piedi, ma il dolore alla bassa schiena si è riacutizzato, diventando davvero forte e sempre meno gestibile.
E’ stato qui che, dopo 9 anni, mi sono ricordata come se fosse ieri, dei dolori sofferti durante il parto: identici (almeno nei miei ricordi) ed allora mi sono detta, parlando a voce alta, tanto qui su non mi sentiva nessuno: “Elena, così come hai dimenticato quelli del parto, dimenticherai anche questi, e domani vorrai essere di nuovo qui!
Tutto intorno a me è pietra nera e grigia, piccoli cumuli di neve e tanti, tanti tronchi d’alberi, d’un bianco spaventoso, dall’aspetto irreali, sembrano calcinati dal calore, mo non carbonizzati dal fuoco dell’eruzione del 2002: le loro radici annegarono nella lava e i loro rami spogli e bianchi si innalzano verso il cielo come poveri cristi a chiedere pietà.
Sono al 34° km, vedo un corridore davanti a me, ci separano ad occhio e croce 300 metri ed allora inizio un giochino che faccio spesso quando corro: “Ora lo vado a prendere, al limite rimango con lui e ci scambio quattro chiacchiere e ci confortiamo a vicenda”. Grazie a questo giochino ne passo una decina circa, finché non mi accorgo che davanti a me, con passo lentissimo e succube di dolori lancinanti alle gambe, c’è Davide. Non lo riconosco subito, lo chiamo per nome e gli chiedo cosa ci faccia lui ancora li. Ezio mi aveva detto che lui e Salvo erano passati molto prima di me. Qualcosa è andato storto, qualcosa non ha funzionato. Vorrei aspettarlo, fargli compagnia, ma il suo passo è troppo lento e decido, pur a malincuore di andare avanti.
Via il 39° km, il 40°, il 41°, i chilometri adesso passano svelti e nella confusione creata dalla stanchezza penso di essere quasi arrivata: ne dovrebbe mancare solo uno all’appello…
In realtà, al cartello che segna i 42 km, mi sveglio dal mio torpore e ricordo in un lampo che questa è la Supermaratona dell’Etna di 43 km! Porca miseriaccia! Pensavo d’essere arrivata e, invece, ne devo percorrere ancora uno. Il più terribile.
Ma quest’ultimo che mi rimane, lo faccio ridendo: ho il sorriso stampato sulle labbra, sono in perfetto orario, sto bene, mi sento una leonessa, sono felice, euforica, vado incontro agli amici che sono arrivati molto prima di me e che mi incitano, dimostrandomi il loro affetto. Se non avessi il cuore di pietra mi scioglierei in un pianto liberatorio.
Mancano solo 100 metri e mi sento chiamare da colui che mi ha preparata a questa avventura: è il mio amico Salvo Crudo, alzo le braccia in un gesto di esultanza e di liberazione, passo sul tappeto, sento il bip del cip e il mio nome – Elena Cifali - che viene pronunciato dallo speaker. Che emozione! Sono arrivata in cima al vulcano! Eccomi Sua Maestà Etna, eccomi mio caro, visto da qui non mi sembri più tanto spaventoso, siamo diventati amici io e te; e per dimostrarti quanto bene ti voglio oggi ti ho portato 150 amici!
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