(Maurizio Crispi) Quella che segue è la cronaca delle impressioni di un osservatore-fotografo, coinvolto nella corsa, in quanto ex-runner, ma che come osservatore esterno guarda al contesto e alla sua potenzialità di far scaturire storie e generare miti.
Da Piano Provenzana (1800 metri di quota) siamo stati trasportati da speciali mezzi sino ai fatidici 3000 metri di quota: anche per chi non corre la Supermaratona dell'Etna da 0 a 3000, salire sino al punto di arrivo è una vera avventura e non è un'impresa semplice; sicuramente è qualcosa fuori dall'ordinario, in cui il normale modo di affrontare le cose deve essere necessariamente sospeso per dare spazio al sentimento della meraviglia.
Il punto di arrivo bisogna raggiungerlo faticosamente a piedi, percorrendo gli ultimi 500 metri su di un ripido sterrato fatto di sabbia e lapilli vulcanici.
Ma è una fatica da niente inconfronto a quella sovrumana dei runner che sono partiti da Marina di Cottone (Fiumefreddo) alcune ore prima da quota 0 e 43 km prima.
Il paesaggio tutt'attorno è assolutamente inedito: l'aria è trasparente e rarefatta e si vede in lontananza un paesaggio mozzafiato che spazia da Taormina e ai monti che incombono su Taormina, a quelli più distanti - i contrafforti di Aspromonte - della Calabria al di là dello Stretto di Messina, a Capo Milazzo, sino alle lontane - anche loro mitiche - Eolie che emergono dalla bruma, con sagome azzurrinee al più vicino Osservatorio vulcanologico posto più basso e ai crateri del 2004 del versante nord.
Ciò che colpisce, almeno sino a che la voce dello speaker non comincia ad essere amplificata per raccontare le ultime fasi della gara dei primi e poi, via via, di tutti gli altri che seguiranno, disperdendosi giù per le balze del monte, è il silenzio, rotto solo dal fruscio dal vento: un silenzio assolutamente inedito, in cui manca del tutto quel brusio di fondo tipico delle città, a cui siamo ormai abituati: ma è anche un silenzio che si riempe di risonanze particolari e di echi misteriosi, se soltanto si riesce a coglierli.
E, quando lo speaker comincia a parlare, il suono della sua voce amplificato si propaga a grande distanza nell'aria rarefatta e sembra essere dovunque.
Sotto i piedi dei podisti il terreno sciolto scricchiola e i passi risuonano come se percuotessero una superficie di frammenti vetrosi che emettono uno strano suono chiaro e limpido, come se il terreno al di sotto fosse vuoto: non a caso gli antichi ritenevano che, nelle viscere cave della montagna, avesse le sue fucine Efesto.
Il paesaggio attorno è arido e lunare, nella gamma cromatica prevalgono i neri e i grigi, anche se a tratti occhieggiano delle macchie di un bianco abbacinante che sono ammassi di neve che, ricoperti da ricadute successive di ceneri e lapilli si sono a poco a poco compresse e trasformate in ghiaccio che persiste a lungo e si perpetua da un inverno all'altro.
E, passando accanto a questi blocchi di neve simile a ghiaccio, striati o punteggiati di nero ed erosi dagli elementi atmosferici in fogge strane, proprio perché dove i lapilli si sono addensati maggiormente la neve persiste più a lungo dando luogo a delle superficie mammellonate e piene di ridondanze nerastre che si stagliano sul bianco sottostante, l'aria si fa sensibilmente più freddo, proprio come se si passasse a fianco del fronte di un ghiacciaio.
Sottili nuvolette di polvere si levano ad ogni passo e subito si disperdono.
C'è in tutto questo della magia: un paesaggio ostile e antico, alieno per alcuni versi, eppure familiare, dove non è possibile più alcuna crescita vegetale: eppure, miracolosamente, all'improvviso compaiono sciami di coccinelle che si posano sui runner in arrivo, beneauguranti.
Coccinelle marziane, si potrebbe pensare, oppure coccinelle terrestri che atterrano su un frammento di luna, incastonato nella terra di Sicilia.
Coccinelle avventurose - potrebbero dire altri - al pari dei podisti che arrivano, anche loro, le modeste coccinelle vogliono sperimentare il brivido della conquista!
La zona dell'arrivo, allestita come un vero e proprio campo base per una ascensione ad alta quota, con il suo piccolo portale colorato di rosso e le tante bandiere che garriscono al vento appare come un'isola calorosa nel bel mezzo di un deserto, un deserto che i podisti hanno attraversato, superando di chilometro in chilometro un forte e continuo dislivello che non dà requie: in particolare, negli ultimi 9 chilometri sino all'arrivo hanno dovuto superare 1200 metri di dislivello positivo, quindi un po' più di 100 metri di D+ per km.
All'arrivo sono grandi le manifestazioni di felicità e di commozione (ma di queste emozioni abbiamo già parlato in altra sede...).
In quest'isola accogliente (che il terminale della lunga corsa appena compiuta) c'è di tutto: il gazebo che funge da spogliatoio per gli uomini e le donne, c'è il deposito dei sacchi di ciascun atleta, c'è il gazebo dove vengono effettuati una serie di test medici a quegli atleti che hanno dato la loro adesione per partecipare ad una ricerca medica su alcuni parametri fisiologici e posturali in situazioni di impegno fisico e fisiologico estremo, c'è tutto l'ambaradan per il rilevamento dei tempi cronometrici tramite microchip.
E c'è la possibilità di usufruire di un piccolo ristoro, con liquidi per la reintegrazione e frutta soprattutto.
C'è chi raccoglie una pietra dell'Etna da portare con sè come ricordo: ma, d'altra parte, la medaglia da finisher è applicata suggestivamente, proprio su di un supporto di pietra lavica.
Al di là di tutto c'è, indifferente - in fondo - ed imperscrutabile, la cima dell'Etna che si erge oltre a circa 3300 di quota e di fronte a quest'ultima impennata del declivio che sale ripido verso quella cima solitaria da cui si leva in fogge mutevoli a seconda di come soffia il vento il fumo che si origina dalle viscere calde del vulcano sempre in attività, noi sembriamo piccolissimi e siamo indubbiamente costretti a ridimensionare il nostro ego e a metterlo nella giusta prospettiva.
Gli atleti che hanno compiuto una grande impresa correndo dal mare sino a quota 3000, pur essendo stati grandi nella loro impresa, devono allo stesso tempo riconoscere di essere davvero piccoli ed insignificanti davanti a tanta immensità.
E, quando, al termine delle otto ore di tempo massimo regolamentare, il campo base dell'arrivo verrà smontato, la montagna ritornerà al suo silenzio eterno, indifferente a tutto e rimarrà indomita e indifferente alla passione che ha condotto quegli uomini e quelle donne così vicino alla vetta come solerti formichine o come quegli uomini stolti che in un'epoca antica decisero di tentare la scalata all'Olimpo dove si si trovavano le dimore dei loro idee, per poter essere come loro.
Ma, di fronte a questo spettacolo e a queste imprese mirabolanti, abbiamo anche la consapevolezza che tra centinaia o migliaia di anni, queste avventure di singoli uomini e donne che hanno sprizzato sudore su queste pietre laviche (nelle 10 o 30 - o più - edizioni di questa splendida gara che si susseguiranno) saranno dimenticate, così come i nomi di coloro che, correndo, hanno conquistato quota 3000, e la montagna sarà sempre lì, invitta ed impassibile a scandire il ritmo delle stagioni e lo scorrere del tempo: tutte quelle imprese messe insieme in una manciata di anni, pur costituendo un tempo abbastanza lungo secondo il parametro umano, saranno soltanto l'equivalente del tempuscolo che occorre per un veloce battito di ciglia.
Ma queste imprese, questo spirito sportivo, sono pur sempre necessari per darci l'occasione di sperimentare la meraviglia e per poter riflettere sulla finitezza e sull'insignificanza delle umane gesta di fronte all'infinito e all'eterno.
Foto di Maurizio Crispi