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29 ottobre 2013 2 29 /10 /ottobre /2013 12:09

Camminare e correre (Maurizio Crispi) Riallacciandomi a quanto scritto di recente su questo magazine, la corsa dovrebbe essere oltre che un mero esercizio fisico, anche una forma di disciplina mentale. Bisognerebbe imparare a correre sempre "in presenza mentale", senza lasciarsi prendere da desideri smodati o irraggiungibili.

Correre per essere - piuttosto che per avere, possedere, fare di una meta un must irrinunciabile -abbandonando il desiderio e coltivando la nostra presenza in ciascun momento della nostra corsa, assaporandolo, senza essere presi dal bisogno irrefrenabile di limare la nostra prerstazione o di arrivare alla fine della strada il più velocemente possibile, anche se ciò comporta uno sforzo che va al di là del ragionevole oltre le nostre forze.

E, del pari, sapersi fermare quando è necessario, arrivando al traguardo anche camminando, ma sempre in letizia e gioia, senza stress e senza logorii interiori.

La corsa come ogni altra forma di sport, perde il suo significato interiore, se la viviamo come una "lotta", co qualcosa che ci fa vivere in "preoccupazione", più che aiutarci a rilassarci e a distenderci, migliorando il nostro equilibrio psico-fisico.

Se imparassimo a viverla come una forma di preghiera, probabilmente potremmo stare molto meglio. 

 

Sul sito della Compagnia dei Canmmini si legge: "Passiamo gran parte della nostra vita passando da una preoccupazione all’altra. Ora è per questo problema, ora è per quell’ansia, risolto una se ne aggiunge un’altra. E lo stress aumenta, mente e corpo si debilitano.
Il cammino ci aiuta a vivere in presenza mentale. Nel qui e ora ansie e preoccupazioni svaniscono, si relativizzano. Nel qui e ora impariamo che pre-occuparci è una contraddizione in termini, perché è molto più funzionale “occuparsi” che “pre-occuparsi”.
Il Deep Walking o cammino profondo è nato per aiutare le persone a utilizzare il camminare come strumento di consapevolezza".

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28 ottobre 2013 1 28 /10 /ottobre /2013 23:27
Quel sottile crinale sottile tra l'evento sportivo amatoriale come festa e come luogo della retorica dell'eccesso. Le osservazioni di un fotografo alla Maratonina dei Nebrodi(Maurizio Crispi) Quelle che seguono sono le mie personali riflessioni di fotografo (ex-runner di gare amatoriali lunghe ed extra-lunghe) presenta ad una Mezza maratona (in questo caso, è stata la Maratonina dei Nebrodi che, giunta alla sua 3^ edizione, è stata celebrata il 27 ottobre 201, a Sant'Agata di Militello (Messina). A differenza che nelle gare trail (di breve o lunga distanza che siano) e delle Ultramaratone (a tempo o in linea, point to point o in circuito), noto che qui - come in tutte le altre gare brevi su strada (diciamo pure sino alla Mezza Maratona o, in taluni casi, sino alla Maratona) il crinale tra l'evento sportivo amatoriale inteso come festa e tra la sua declinazione di luogo della retorica dell'eccesso si fa estremamente sfumato e sottile.
La mia lunga frequentazione delle gare di lungo corso, sia da atleta sia in veste di fotografo mi fa preferire proprio queste, perchè qui le due componenti sono fortemente amalgamate tra loro e non si osserverà mai l'eccesso fine a se stesso. 
Il tempo caldo, quasi estivo.
Il mare, arrivando a Sant'Agata, d'un azzurro quasi abbagliante, liscio come una tavola.
Le palme sul lungomare evocano paesaggi esotici, dando l'impressione di essere in un avamposto della civiltà.
Il greto di sassi bianchi levigati come sono tutte le spiaggie di questa parte della costa settentrionale della Sicilia e l'azzurro levigato del mare si combinano perfettamente, stemperandosi l'uno nell'altro e nel melange del cielo intensamente azzurro.
Nei preparativi di gara e negli incontri con i tanti conosciuti che si incontrano e i tanti che conosco meno, perchè questi ultimi frequentano solo le corse su strada, lievita lentamente la componente agonistica e si osserva la tensione crescere.
E' un evento importante questa Maratonina dei Nebrodi, non solo perchè è prova valida ai fini della classifica finale nel Grand Prix regionale di maratonine, ma anche perchè è Cammpionato regionale di Mezza Maratona, in cui verranno assegnato i titoli individualie per società.
 Ad attendere gli atleti a fine gara, vi sono delle belle medaglie e un ricchissimo allestimento di premi, dalle coppe gigantesche per i primi classificati a ricchi cesti, infarciti di prodotti locali per i primi classificati do ogni categoria. 
Quel sottile crinale sottile tra l'evento sportivo amatoriale come festa e come luogo della retorica dell'eccesso. Le osservazioni di un fotografo alla Maratonina dei NebrodiL'atmosfera pre-gara è stata di entusiasmo: la solita, quella dei preparativi, degli incontri, delle foto di gruppo e, poi, quella della folla stipata prima della partenza con quel passaggio repentino - e sempre soprendente - al movimento e al volo, dal primo all'ultimo, da quello più veloce a quello più lento.
Poi, dopo la partenza, l'eccesso, anche.
Nelle gare su strade di adesso il livello degli atleti è cresciuto a dismiusra, i ritmi si sono velocizzati, il livello medio delle prestazioni è cresciuto.
I partecipanti pur di reggere a questa pressione si spremono a dismisura e sicuramente si sottopongono anche a tabelle di allenamento massacranti. 
Si perde per strada non solo il senso della gara come festa, ma anche quello della corsa come divertimento e come evasione dalla routine quotidiana.
Tutto (ma ovviamente ci sono delle eccezioni: per fortuna!) sembra diventare uan questione di vita o di morte, come anche vine spostato da più il verbo imperioso della perfomance che richiede immani fatiche e sofferenze per limare anche solo di pochi secondi la propria prestazione.
Non mi riconosco in tutto questo.
Fotografo (e la macchina fotografica con uno zoom sufficnetemente potente ti mette nella condizione di osservare i volti degli atleti che sono lo specchio dell'anima ed anche del progetto sotteso), ma non condivido tutto questo.
Non riesco a comprenderlo sino in fondo: questa smania di fare diventare la propria corsa una "malattia" e assieme un "lavoro" faticosissimo, che - alla lunga - rischia di divenire insalubre o anche di uccidere. 
Vedere tanti che si affannano al di là delle loro forze mi dà un senso di costrizione e di tristezza.
Perchè ciò che vedo è il sintomo dell'incapacità di fare autocrritica, di accettare la dimensione del tempo che è passato e che ha lasciato i suoi segni, di venire a termini con i propri limiti.
Gente che arriva al traguardo ansimando, sputacchiando, stravolta, con la bava alla bocca. 
Gente terrea o grigia in volto.
Quel sottile crinale sottile tra l'evento sportivo amatoriale come festa e come luogo della retorica dell'eccesso. Le osservazioni di un fotografo alla Maratonina dei NebrodiGente che casca per terra e deve essere soccorsa.
Gente che inciampa e finisce rovinosamente a terra prima del traguardo intrappolata dai crampi e che, anzichè ringraziare di non aver riportato alcun danno a causa della caduta rovinosa, riprendono la loro corsa zoppicanti, afflitti dai crampi non risolti e, rischiando di cadere una seconda volta, "devono" tagliare il traguardo senza sconti.
Un tempo, nell'osservare queste scene, ero intrappolato io stesso dai miei occhiali di legno di praticante della corsa (ma l'autoironia mi ha sempre salvato dal diventarne un fanatico), oggi invece, mi sembra soltanto che venga messa in atto una penosa ed insulsa retorica dell'eccesso, nonche una forma di accanimento sportivo, pari soltanto a quelle forme di accanimento terapeutico che si praticano su persone che sono già cadaveri.
E tutto questo, in un'atmosfera sovraeccitata, guasta - a mio avviso - lo spirito della festa che in una gara amatoriale dovrebbe essere quello da ricercare, trovando sempre la giusta temperatura...
Tutto questo è in parte il risultato di un sovra-pompaggio mediatico dello sport non più come partecipazione ma come ricerca quasi sovrumana del risultato, del "bel" risultato, cosa che affligge al giorno d'oggi, quasi tutte le corse su strada (che dovrebbero essere per amatori, ma diventano tout court "competitive", dimenticando la necessaria attribuzione di "amatoriali"), dove ci si ritrova a livello individuale e di società ad una competizione sfrenata e quasi eccessiva, guardando in modo esasperato al risultato: il podio assoluto oppure quello di categoria; o ancora, non potendo fare di meglio anche limare di una manciata di secondi il proprio risultato nella stessa distanza (ma al prezzo di inennarrabili sofferenze): che è poi uno dei mali che afflige la società podistiche e la FIDAL stessa, come sottolinea Donati
 
Peraltro, il verbo della competitività spinta allo stremo è anche espressione della strenua lotta di ogni individuo per non non doversi trovare a camminare irreevocabilmente lungo il "viale del tramonto".
Sinchè si è in pista e, prossimi al crollo psico-fisico e con la bava alla bocca, si è in pista.
Ma tutto ciò implica la negazione di una relazione sana, igienica, salubre per la mente e per il corpo, con la corsa intesa come semplice attività sportiva.

 

Foto di Maurizio Crispi

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6 ottobre 2013 7 06 /10 /ottobre /2013 09:17

Maratona, maestra e metafora di vita. Poche volte no, il più delle volte sìLa maratona é maestra di vita, ma anche metafora della vita.  Il più delle volte sì, qualche volta no.
Con la solita prosa incisiva Filippo Castiglia ci propone nel suo blog "Corsa y Mucho Mas" una riflessione sugli "insegnamenti" che una maratona ci può dare.
Ogni maratona che facciamo ci offre insegnamenti diversi.
E il bello delle maratone é proprio questo: che ogni volta si può scoprire qualcosa di nuovo riguardo a noi stessi e al mondo.
Direi anche - come inciso mio - che la maratona - con l'arco esperienziale che ci troviamo a percorrere dallo start all'arrivo, con un percorso punteggiato di piccole gioie, di dolori inevitabili, di contentezze e di delusioni, di crisi da affrontare e superare (anche se qualche volta non ci si riesce) è una metafora della vita.
E' forse, anche per questo, é anche luogo della memoria e della rimembranza.
Forse, è per tutti questi motivi che ci piace tanto correre le maratone.

 

 

 

 


Dal blog di Filippo Castiglia "Corsa y Mucho Mas": "insegnamenti di una maratona"

 

La maratona è lunga può succedere di tutto. Ciascuna fa storia a sè ma è sempre di 42.195 metri e molte cose, come nella vita dipende da come si affrontano.

Ci sono quelle che insegnano che era meglio controllare una volta di più i calzini, ad usare scarpe pantaloncini e canottiera già provati in allenamento, a dosare le proprie forze, ad evitare di farsi prendere dall'entusiasmo subito e magari conservarlo per gli ultimi km, ad ascoltare con attenzione i segnali del corpo e capire quali sono veramente campanelli di allarme e quelli che sono solo falsi allarmi.

Ci sono quelle maratone che la colpa è dei pacemaker che erano troppo veloci o troppo lenti, che i calzini erano nuovi, che è caduto il gel del trentesimo, che la buca o sampietrino, che non ho digerito la colazione, che è arrivata la tormenta, che non era giornata.

Ci sono maratone che insegnano qualcosa altre che non insegnano nulla.

 

 
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6 settembre 2013 5 06 /09 /settembre /2013 19:16

Usare la corsa come strumento della nostra mobilità (sostenibile)

 

(Maurizio Crispi) Ho letto con interesse il recente post di Filippo Castiglia (feliperun) su "Corsa y Mucho Mas", dal titolo Strumento corsa.

Eccone l'incipit
A forza di ripetute, di distanze misurate, di cronometri precisi, di percorsi conosciuti ci deve essere sfuggito che correre serve a muoversi.

Muoversi, spostarsi, viaggiare, scoprire, esplorare.

Oh sì, direte voi, chi si cimenta in estenuanti ripetute non fa altro che esplorare i propri limiti, ma cosa ne è stato del correre per andare da un posto ad un altro?

Può la corsa tornare ad essere uno strumento per visitare un luogo?

 

La risposta è sì, non c'è alcun dubbio.

Non bisogna dimenticare che, in un certo senso, siamo "nati per correre".

In epoche ancestrali, quando il cavallo non erano stato domesticato, i piedi erano i nostri cavalli (e questa semplce verità sopravvive nell'espressione "andare in un posto con i cavalli di San Francesco (o di San Pietro)".

Nel nuovo mondo che ignorava la ruota e dove i cavalli arrivarono soltanto in seguito come effetto del cosiddetto "scambio colombiano" ciò era molto più rimarchevole. Ci si spostava a piedi per tutte le necessità e, per fare più rapidamente, si procedeva al piccolo trotto.

Gli Apache erano maestri in questo modo tattico di spostarsi sia per le esigenze della caccia sia per quelle della guerra.

Anche in Occidente lo spostamento strategico di grandi masse d'uomini avveniva a piedi e, per determinate esigenze tattiche, manipoli di soldati scelti si spostavano di corsa

Alcuni venivano appositamente addestrati a correre per 24 ore consecutivamente senza mai fermarsi: costoro nel mondo greco venivano chiamati "emerodromi" e Fidippide, considerato oggi, il precursore storico della Maratona era appunto un emerodromo.

I pellegrinnagi avvenivano a piedi e ancora a piedi li si compiono oggi, come unico retaggio di un'Umanità in costante movimento con l'unico ausilio delle proprie gambe.

Ma non c'era fretta, allora. Solo i messaggeri andavano a velocitù più sostenute, ma - nel loro caso - si attuava un sistema a staffetta con frazioni di circa uno-due chilometri.
L'archeologo ed esploratore tedesco Viktor W. von Hagen, al tempo di uno dei suoi viaggi di ricerca in Perù, ha materialmente sperimentato con l'ausilio di alcuni Indios reclutati a tale scopo che - con questo sistema di messaggeri - l'imperatore degli Incas poteva ricevere il pesce fresco preso nell'Oceano da imbandire sulla sua tavola nel giro di meno di 24 ore. 

Camminare (o correre lentamente) ci espone ad un diverso contatto con la realtà in cui siamo immersi e con la natura/ambiente. Osserviamo tutto in maniera diversa e più profonda, ce ne lasciamo permeare, man mano che l'angolo di visione si va impercettibilmente modificando con il nostro incedere.

Camminando (o correndo lentamente) si è maggiormente inclini alla sosta e alla riflessione, a volte se abbiamo un compagno di viaggio accanto anche alla conversazione.

La corsa lenta (o il camminare) ci fanno immergere nella grana delle cose e ci consentono di avere una diversa percezione del tempo, sicché diventa meno assillante il vettore lineare del tempo.

Ci si chiede (e Filippo Castiglia si chiede nel suo post) se non sia possibile rendere possibile a tutti di andare al lavoro correndo (o camminando) 


La Gran Bretagna è leader in questo (ma anche molti altri paesi del Nord Europa).

E' una realtà ormai acquisita questa! Ci sono tantissimi che, a Londra,  vanno al posto di lavoro correndo. 

Escono di casa in abbigliamento da corsa con uno zainetto sulle spalle, nel quale ripongono il lunch e quanto occorre loro per un'intera giornata fuori casa.

Arrivano di corsa sul posto di lavoro. Lì si cambiano e indossano gli indumenti di lavoro.

Non dmentichiamoci, però, che a tutti - anche agli impiegati d'ufficio - è concesso l'uso di un proprio armadietto personale dove ciascuno può tenere un ricambio di vestiti adatti alle esigenze lavorative.

Quindi, al termine della loro giornata di lavoro, ri-indossano l'abbigliamento sportivo e tornano a casa di nuovo di corsa.

Se pensiamo alla situazione dei bambini kenyano che percorrono anche 20 km per andare a scuola e che poi rifanno la stessa strada alla fine delle ore di scuola, questomodo di correre "strumentale" lo potremmo battezzare il "modello kenyano" dell'utilizzo della corsa come mezzo di spostamento.   

La stessa cosa vale per chi va al lavoro in bici: vi è Londra da parte della pubblica amministrazione una politica che incoraggia attivamente l'uso della bici e di altri mezzi non contemplanti l'uso dei mezzi motorizzati per recarsi al posto di lavoro.

Andare al lavoro sia di corsa sia in bici é una soluzione possibile e praticabile che consente di fare giornalmente dell'attività fisica senza rubare altro tempo alla dimensione della vita familiare, nello stesso tempo ottenendo un risparmio consistente sul costo mensile del trasporto pubblico.

Noi Italiani, purtroppo, siamo afflitti da un eccesso di formalismo che, il più delle volte, non ci consente di percorrere queste vie, friendly non solo per l'ambiente ma anche per il nostro stesso corpo.

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5 settembre 2013 4 05 /09 /settembre /2013 19:12

Podisti (Maurizio Crispi) Il post di Filippo Castiglia su "Corsa y Mucho Mas", dal titolo "Ad ognuno la sua corsa", fa riflettere in modo divertente sul fatto che, tante volte, in uno stesso luogo si trovano mescolati insieme podisti che declinano la loro corsa in maniera diversa, tutti uniti dalla stessa passione, ma con obiettivi e modi di interpretare la corsa a volte radicalmente diversi.

Nell'infinità varietà di "tipi" e di "ipertipi" podistici c'é indubbiamente un great divide tra i runner lenti (quelli che in origine vennero battezzati con un certo spregio "tapascioni") che vogliono correre just for fun e i podisti "schizzati", tutti presi dal cronometro e dal cardio-frequenzimetro, i fissati della perfomance di alto livello, i "tecnologici", quelli per cui mantenere lo stesso ritmo, fare le ripetute, allenarsi sui medi e sui corti veloci diventa un must imperioso ed irrinunciabile, e che - pur di perseguire i loro obiettivi, sottomessi come sono all'imperativo categorico di dover rispettare le tabelle, sarebbero capaci di travolgere bimbi in bici, bimbi che si divertono, mamme che spingono il passeggino... e così via.

Tra queste due categorie configuarano una differenza abissale tra quelli che vanno alla ricerca di un modo di essere ( i lenti che corrono per "essere") e i "veloci" o aspiranti tali, che corrono per avere, per conquistare, per possedere, per raggiungere un posto al sole nella classifica (il che magari può significare soltanto vedere il proprio nome nella seconda pagina, piuttosto che nella terza).
Questi sono i podisti "febbrili", gli ipercinetici, i rabbiosi, quelli che si rodono il fegato se non riuscono a salire sul podio di categoria o a rosicchiare una manciata di secondi al tempo finale di una gara.
E alcuni di questi, pur sempre ricadenti nell'insieme degli "amatori" nel loro approccio alla corsa sono ancora più ossessivi ed "efferati" dei runner élite, poiché probabilmente cercano di realizzare una fantasia interna di essere come costoro: e, quindi, impostano i loro allenamenti e la propria organizzazione all'insegna del "come se".
Giochiamo a fare i runner d'élitè! Let's play!
Ma poi dimenticano che si tratta di un gioco e perdono il senso della misura, fino a farsi male o a infortunarsi, in alcuni casi.


Costoro dovrebbero essere di tanto in tanto esortati energicamente:
Take it easy!
Relax yourself!
Fermati ogni tanto ad apprezzare il piacere della corsa lenta praticando la quale non devi dimostrare nulla a nessuno!

Ma forse non possono, non ce la fanno, o semplicemente non vogliono perché sono impegnati in una faccenda che è questione di vita o di morte.

Ma, così facendo, importano la competitivià della vita quotidiana e le sue nevrosi nella dimensione della corsa che così non è più divertimento, finendo con il diventare un vero e proprio lavoro, un secondo lavoro, o addirittura il primo, se si misurano le energie profuse in esso rispetto a quelle di un'attività lavorativa quotidiana, magari sedentaria.
Tanti dicono (e, se non lo dicono, lo  pensano), arrivando al posto di lavoro dopo un allenamento sfibrante: "Adesso, finalmente, posso riposare un po'!"

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2 settembre 2013 1 02 /09 /settembre /2013 20:29

Perché corriamo. Il sapore della fatica e il piacere infinito che ci dà la corsaPerché corriamo? Perchè ogni giorno ci sottoponiamo a così grandi sforzi?
Tanti anni fa, quando affrontai un mio percorso  di conoscenza 
interiore e mi sottoposi ad una psicoanalisi (freudiana), questo tema fu oggetto di prolungate conversazioni con il mio psicoanalista personale-guru. Lui, applicando le categorie interpretative psicoanalitiche classiche, sosteneva che io avessi una tendenza verso l'autosomministrazione di sofferenze masochistiche e che nei continui e ripetuti allenamenti (e allora facevo di tutto dalla palestra alla corsa, alla bici e alla canoa, dedicando a svariate attività fisiche e muscolari svariate ore al giorno, mostrassi di possedere un Super-Io rigido e tirannico che mi imponeva di declinare ogni mio giorno all'insegna della sofferenza.

Nel contesto della psicoanalisi fece tuttavia fatica a spiegargli che, se potevo condividere la sua interpretazione, ritenevo tuttavia che ci fosse - per me - un intrinseco piacere che la pratica diuturna dell'esercizio sportivo mi dava.
Un piacere profondo accoppiato ad una grande ed illimata sensazione di libertà.
Mentre io correvo libero sulla spiaggia di Mondello, su e giù un'infinità di volte e senza alcuna finalizzazione, perchè allora non avevo ancora iniziato a frequentare il mondo delle corse amatoriali, nelle mie lunghissime vogate solitarie in canoa, mi rigeneravo ogni volta interiormente e sperimentavo qualcosa di simile alla felicità, benchè alla fine sentissi il mio corpo sfibrato.
E' la consapevolezza dell'autoefficacia, è anche il contatto intimo con una serie di fantasticherie che attraversano la tua mente mentre realizzi uno stato di semi-trance a causa della ripetitività dell'esercizio e della disciplina che imponi al tuo corpo, a farti raggiungere uno stato estatico e di benessere, uscendo dalla quotidianità: e il benessere che si raggiunge dipende dal fatto che, nell'esercizio sportivo, per quanto iterativo possa essere, importi una tua auto-determinazione, esercito il tuo libero arbitrio, eserciti la tua volontà, cosa che spesso non è possibile fare quando si è al lavoro o quando ci si confronta con le incombenze della vita ordinaria.
Si è liberi, in altri termini: si è liberi di decidere, in ogni momento se allenarsi ppure no. E il più delle volte la decisone propende per il sì, per infiniti motivi, ma soprattutto - sempre - per il piacere ineguagliabile - alla fine - di una cosa ben fatta che si traduce anche in una gratificazione neuronale (i circuito della dopamina) - anche se bisogna sempre ragionare in termini ampi di "mente" e non semplicemente di biochimica del cervello, accettando delle spiegazioni riduzionistiche e totalizzanti.
in fondo è sempre valido il motto "No pain, no gain", in cui il "guadagno" successivo alla sofferenza auto-inflitta non è solamente il miglioramento (o semplicemete il mantenimento della tua prestazione).

Rimasi sempre piuttosto perplesso sull'intrepatazione che il mio psicoanalista mi dava per spiegare quella che riteneva un'"eccessiva" dedizione alle pratiche sportive, ritenendo che quell'interpretazione per quanto corretta ed ineccepibile, rappresentasse soltanto una faccia della medaglia.
Per capire bene il senso della sofferenza del corridore, sia esso il corridore di punta o amatoriale, bisognerebbe leggere e meditare punto per punto il romanzo di John L. Parker, La Corsa, recentemente recensito proprio su questo magazine.
Ed ecco una riflessione di Lara La Pera, assidua collaboratrice di questo magazine, che va esattamente in questa direzione.

(Lara La Pera) Oggi mentre correvo avanti e indietro sullo stesso infinito chilometro con il cuore che batteva come un tamburo e i muscoli che bruciavano, ma con l’entusiasmo di un bambino al Luna Park, mi chiedevo perché - anno dopo anno - la gioia di correre aumenta, anche se aumentano gli acciacchi e i tempi di recupero si prolungano. Forse é perché correndo si scappa dal tempo, forse é perché in quella irrinunciabile ora e mezza di fatica quotidiana si trovano infinite energie, i pensieri cattivi diventano meno cattivi, la rabbia diventa tranquillità e mentre le gambe girano la mente vaga in una dimensione che solo chi corre conosce. Forse per questo il sapore della fatica per noi che abbiamo fatto della corsa uno stile di vita, non sarà mai amaro…

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16 agosto 2013 5 16 /08 /agosto /2013 09:28
Corsa, diari di corsa e scritture(Maurizio Crispi) Molti di quelli che corrono amano tenere un diario di corsa.
Per alcuni, il diario di corsa non è altro che una sequenza di numeri, di dati, di chilometri percorsi, di tempi fatti nelle ripetute, di annotazioni su macro- e micro-periodi, di crono realizzati in gara, di analisi delle proprie gare atteaverso una sequenza dei parziali.
Chi vuole ampliare il proprio diario di corsa, potrà aggiungere - a volte - una serie di informazioni sul proprio stato mentale durante allenamenti e gare. Lo stato dei propri intestini o, più in generale, della propria fisiologia, doloretti e fastidi vari.
Ma possono anche parlare di infortuni e incidenti di percorso (e di eventuali applicazioni terapeutiche).
Questo può essere il "diario di bordo" degli atleti che sono molto polarizzati sulla performance e che si pongono l'obiettivo di "migliorare" le proprie prestazioni, talvolta con una determinazione che rasenta l'ossessione (anche se non si può negare - e ciò va indubbiamente rispettato - che alcuni traggono piacere dal soffermarsi sul dettaglio e sulla rifinitura, e si trovano a proprio agio se parlano di "fatti" misurabili, più che di "sogni")..
Poi ci sono quelli che vivono la corsa come una stato mentale che genera benessere e meraviglia e che, piuttosto che essere polarizzati sulla dimensione "performativa" (o "iper-performativa"), sono attratti dall'esperienza del correre in sé e dagli stati mentali che si generano quando si corre, sia in allenamento sia in gara: stati mentali che ci portano ad esplorare scenari ogni volta del tutto diversi, inediti e memorabili.
Alcuni tengono per sé queste esperienze legate al correre, così come un sognatore, al suo risveglio, - pur conservando la sensazione di aver fatto un fantastico sogno - lo dimentica subito dopo (almeno per quei dettagli che durante il sogno parevano così chiari e complessi).
Ci sono altri che invece non vogliono dimenticare ed è così che, subito dopo aver fatto una corsa (un allenamento o una gara, non importa quale), mettono mano  alla penna e trascrivono le proprie sensazioni, raccontano la propria esperienza che, proprio come un arazzo, può essere intessuta di elementi diversi: fili preziosi che derivano dall'osservazione del presente, framenti di emozioni, e improvvisi flashback su ricordi e momenti di un passato che credevamo dimenticato e che riemerge prepotentemente.
Alcuni dicono: "Correre è come volare". 
Ma io aggiungo: "Correre è come sognare...", quando si segue questa disposizione interiore a cogliere la meraviglia intimamente connessa alle cose e a vedere dietro alla banalità del quotidiano. Ma ciò è vero soprattutto, quando si utilizza la corsa come interfaccia tra la realtà esterna e il nostro mondo interno, fatto di sogni, ricordi, emozioni. 
Solo in questo modo il nostro correre diventa uno strumento di liberazione dalle catene del quotidiano e dall'etica del lavoro, così come il nostro secolo prosaicamente la intende, senza più valori estetici e senza più il piacere che se ne possa trarre.
E, se vogliamo, la corsa può divenire altrettanto bene anche un potente strumento di meditazione che ci aiuta a trascendere dalle ristrettezze quotidiane e che ci conduce a conneterci con una realtà superiore .
E si tratta, ovviamente, di modi diversi di intendere la vita, tutti "rispettabili" per carità: c'è chi corre per misurare ossessivamente se stesso e il proprio limite, c'è chi corre per sognare ... e per ricordare e che ogni giorno, perseguendo questo obiettivo, va  "oltre" il limite del prosaico e del quotidiano.
Elena Cifali, una delle più assidue collaboratrici di questo magazine online con i suoi racconti di corsa, al riguardo, così scrive, per spiegare da dove vengono le sue storie di corsa: 
Corsa, diari di corsa e scritture(Elena Cifali) Quando scrivo lo faccio in primo luogo per me. Scrivo le mie emozioni da sempre, da quando ero bambina. Con la corsa ed attraverso la corsa ho scoperto che le mie emozioni, i miei sentimenti, i miei desideri vengono a galla anche meglio di prima.
E così da un paio di anni scrivo i racconti delle mie corse: essi escono dalla mia testa e dalle miei dita fluidi, mi travolgono, a volte diventano irrefrenabili. 
Non poche volte mi sono chiesta se è davvero giusto mettere a nudo le cose che provo, i miei ricordi, i miei affetti, le mie ansie ed i miei timori. 
Dopo la pubblicazione di ognuno dei miei racconti ricevo una moltitudine di complimenti e questo serve a ripagarmi delle miei fatiche: quella fisica in primo luogo e quella letteraria in secondo. 
Ma oggi, dopo la pubblicazione del mio ultimo racconto [si riferisce qui al suo racconto sulla Maratona alla Fidippide 2013 - ndr], tra tutti, quello che più mi ha colpita proviene dal prof. Pino Clemente, che mi scrive: "Ma tu sai pregare non solo con i piedi, sai far rivivere le tue emozioni scrivendo".
Se almeno una volta, con i miei scritti vi ho emozionati, commossi, se vi ho indotto alla riflessione, all'autocritica allora vuol dire che sono riuscita ad entrare nei vostri cuori. Grazie a chi di volta in volta ha il piacere e la pazienza di leggermi. Buone gambe!
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10 agosto 2013 6 10 /08 /agosto /2013 10:31

Etnatrail 2013 (2^ ed.). La kermesse degli arrivi, la simbologia dei gesti e la costruzione delle storie(Maurizio Crispi) In ogni gara gli arrivi sono qualcosa di spettacolare. 
E l'Etnatrail non sfugge a questa constatazione.

il modo in cui ciascun atleta arriva attiva l'immaginario degli astanti, li conduce in una dimensione di ritualità e fa intravedere loro storie che stanno dietro quei gesti.
E' bello vedere arrivare i primi, ovviamente. 
Specie se alla bellezza dell'essere primi si associa qualche gesto di "cortesia" podistica e di fair play, come si è potuto apprezzare con l'esemplare gesto di Vito Massimo Catania che, nello scatto finale, da valente corridore su strada, avrebbe potuto mangiarsi Peppino Cuttaia e non l'ha fatto, invece, lasciandolo arrivare primo anche se di pochissimo.
Ma è bello vedere arrivare tutti gli altri.
C'è chi piange.
C'è chi ride.
C'è chi manda baci, gioioso. 
C'è chi fa l'aeroplanino.
C'è chi alza le braccia al cielo.
C'è chi si inginocchia a terra, ma non per la prostrazione, per la commozione piuttosto, e sembra voler baciare il tappetto del rilevamento con microchip.
Etnatrail 2013 (2^ ed.). La kermesse degli arrivi, la simbologia dei gesti e la costruzione delle storieC'è chi arriva, tenendo in braccio un bimbo appena nato non ancora in condizione di correre, e c'è, invece, chi arriva conducendo per mano uno o due bimbi (o ragazzini già cresciuti) che, correndo anche loro pieno di contentezza, fanno da alfieri all'arrivo di papà o mamma. Ed è forse così che si forgeranno future generazioni di runner, ma intanto, come beneficio immediato, c'è la condivisione dell'arrivo.
Di questa tipologia di arrivi, con l'effetto "trascinamento" da parte di alcuni precursori, ce n'è addirittura un'epidemia (così come altri gesti, nati spontaneamente, vengono poi ripresi ed imitati: come si creasse nel corso del tempo un vero e proprio repertorio di gestualità a cui attingere). Ma questo - dell'arrivare tenendo per mano i propri figli - è un gesto commovente e siginificativo, perché è un modo di portarli nel bel mezzo di ciò che ci piace fare, coinvolgendoli e facendogli sperimentare l'ebbrezza e la gioia dell'arrivo.
E del resto cosa ci potrebbe esssere di meglio che condividere l'infinita gioia dell'arrivo dopo una gara faticosa e difficile (al termine di una nostra impresa) proprio con loro?
C'è chi arriva tenendosi con il compagno di corsa mano nella mano.
C'è chi arriva, cercando di imprimere al momento dell'arrivo, una propria cifra personale che sia inconfondibile, come è il caso, ad esempio, del famoso "passo saltellato" di Ciccio Castronovo.
Etnatrail 2013 (2^ ed.). La kermesse degli arrivi, la simbologia dei gesti e la costruzione delle storieMa da tutti trapela un'indicibile emozione: "Ce l'ho fatta!! Ce l'ho fatta!, dicono quei gesti , e voglio condividere questa gioia con i miei cari, con i miei amici, con i miei fratelli di corsa, con il pubblico che mi ha atteso proprio per essere testimone della mia gioia!".
Ed è così che ognuno perfeziona il suo particolare gesto, mentre altri che si affacciano sulla scena cercano di trovare una propria firma personale con cui segnare il fine gara.
Nasce a poco a poco una vera e propria liturgia di gesti conclusivi e di piccoli riti di apertura.
E dalla liturgia si passa insensibilmente alla costruzione di una mitologia di una corsa,  che le new entry imparano presto a condividere. Ed è ovvio che se c'è una pacchina fotografica o una videocamera a riprendere la voglia di espreimere con un gesto significativo la propria gioia, imprimendo il proprio personale suggello alla gara appena compiuta, si fa impellente.
Etnatrail 2013 (2^ ed.). La kermesse degli arrivi, la simbologia dei gesti e la costruzione delle storieMa, poi, sono proprio le foto e le videoriprese a fare da veicolo di diffusione della liturgia degli arrivi.
Questo per dire che una corsa - e l'Etnatrail di cui stiamo parlando in particolare - non si sviluppa e cresce soltanto a causa della sua qualità organizzativa e degli sforzi profusi dagli organizzatori, ma anche perchè - con il tempo - diventa un collettore di gesti carichi di significato e di stroie che si vanno stratificando anno dopo anno.
E, alla fine, le storie rimarraranno di certo, e i gesti saranno ricordati: e la gara continuerà a vivere per sempre.
Foto di Maurizio Crispi
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21 giugno 2013 5 21 /06 /giugno /2013 07:28
Supermaratona dell'Etna da 0 a 3000 2013 (7^ ed.). Alla fine è il vulcano a rimanere invitto(Maurizio Crispi) Quella che segue è la cronaca delle impressioni di un osservatore-fotografo, coinvolto nella corsa, in quanto ex-runner, ma che come osservatore esterno guarda al contesto e alla sua potenzialità di far scaturire storie e generare miti.
Da Piano Provenzana (1800 metri di quota) siamo stati trasportati da speciali mezzi sino ai fatidici 3000 metri di quota: anche per chi non corre la Supermaratona dell'Etna da 0 a 3000, salire sino al punto di arrivo è una vera avventura e non è un'impresa semplice; sicuramente è qualcosa fuori dall'ordinario, in cui il normale modo di affrontare le cose deve essere necessariamente sospeso per dare spazio al sentimento della meraviglia. 
Il punto di arrivo bisogna raggiungerlo faticosamente a piedi, percorrendo gli ultimi 500 metri su di un ripido sterrato fatto di sabbia e lapilli vulcanici.
Ma è una fatica da niente inconfronto a quella sovrumana dei runner che sono partiti da Marina di Cottone (Fiumefreddo) alcune ore prima da quota 0 e 43 km prima. 
Il paesaggio tutt'attorno è assolutamente inedito: l'aria è trasparente e rarefatta e si vede in lontananza un paesaggio mozzafiato che spazia da Taormina e ai monti che incombono su Taormina, a quelli più distanti - i contrafforti di Aspromonte - della Calabria al di là dello Stretto di Messina, a Capo Milazzo, sino alle lontane - anche loro mitiche - Eolie che emergono dalla bruma, con sagome azzurrinee al più vicino Osservatorio vulcanologico posto più basso e ai crateri del 2004 del versante nord.
Ciò che colpisce, almeno sino a che la voce dello speaker non comincia ad essere amplificata per raccontare le ultime fasi della gara dei primi e poi, via via, di tutti gli altri che seguiranno, disperdendosi giù per le balze del monte, è il silenzio, rotto solo dal fruscio dal vento: un silenzio assolutamente inedito, in cui manca del tutto quel brusio di fondo tipico delle città, a cui siamo ormai abituati: ma è anche un silenzio che si riempe di risonanze particolari e di echi misteriosi, se soltanto si riesce a coglierli.
E, quando lo speaker comincia a parlare, il suono della sua voce amplificato si propaga a grande distanza nell'aria rarefatta e sembra essere dovunque.
Supermaratona dell'Etna da 0 a 3000 2013 (7^ ed.). Alla fine è il vulcano a rimanere invittoSotto i piedi dei podisti il terreno sciolto scricchiola e i passi risuonano come se percuotessero una superficie di frammenti vetrosi che emettono uno strano suono chiaro e limpido, come se il terreno al di sotto fosse vuoto: non a caso gli antichi ritenevano che, nelle viscere cave della montagna, avesse le sue fucine Efesto.
Il paesaggio attorno è arido e lunare, nella gamma cromatica prevalgono i neri e i grigi, anche se a tratti occhieggiano delle macchie di un bianco abbacinante che sono ammassi di neve che, ricoperti da ricadute successive di ceneri e lapilli si sono a poco a poco compresse e trasformate in ghiaccio che persiste a lungo e si perpetua da un inverno all'altro. 
E, passando accanto a questi blocchi di neve simile a ghiaccio, striati o punteggiati di nero ed erosi dagli elementi atmosferici in fogge strane, proprio perché dove i lapilli si sono addensati maggiormente la neve persiste più a lungo dando luogo a delle superficie mammellonate e piene di ridondanze nerastre che si stagliano sul bianco sottostante, l'aria si fa sensibilmente più freddo, proprio come se si passasse a fianco del fronte di un ghiacciaio.
Supermaratona dell'Etna da 0 a 3000 2013 (7^ ed.). Alla fine è il vulcano a rimanere invittoSottili nuvolette di polvere si levano ad ogni passo e subito si disperdono. 
C'è in tutto questo della magia: un paesaggio ostile e antico, alieno per alcuni versi, eppure familiare, dove non è possibile più alcuna crescita vegetale: eppure, miracolosamente, all'improvviso compaiono sciami di coccinelle che si posano sui runner in arrivo, beneauguranti.
Coccinelle marziane, si potrebbe pensare, oppure coccinelle terrestri che atterrano su un frammento di luna, incastonato nella terra di Sicilia. 
Coccinelle avventurose - potrebbero dire altri - al pari dei podisti che arrivano, anche loro, le modeste coccinelle vogliono sperimentare il brivido della conquista! 
La zona dell'arrivo, allestita come un vero e proprio campo base per una ascensione ad alta quota, con il suo piccolo portale colorato di rosso e le tante bandiere che garriscono al vento appare come un'isola calorosa nel bel mezzo di un deserto, un deserto che i podisti hanno attraversato, superando di chilometro in chilometro un forte e continuo dislivello che non dà requie: in particolare, negli ultimi 9 chilometri sino all'arrivo hanno dovuto superare 1200 metri di dislivello positivo, quindi un po' più di 100 metri di D+ per km.
Supermaratona dell'Etna da 0 a 3000 2013 (7^ ed.). Alla fine è il vulcano a rimanere invittoAll'arrivo sono grandi le manifestazioni di felicità e di commozione (ma di queste emozioni abbiamo già parlato in altra sede...).
In quest'isola accogliente (che il terminale della lunga corsa appena compiuta) c'è di tutto: il gazebo che funge da spogliatoio per gli uomini e le donne, c'è il deposito dei sacchi di ciascun atleta, c'è il gazebo dove vengono effettuati una serie di test medici a quegli atleti che hanno dato la loro adesione per partecipare ad una ricerca medica su alcuni parametri fisiologici e posturali in situazioni di impegno fisico e fisiologico estremo, c'è tutto l'ambaradan per il rilevamento dei tempi cronometrici tramite microchip.
E c'è la possibilità di usufruire di un piccolo ristoro, con liquidi per la reintegrazione e frutta soprattutto.
C'è chi raccoglie una pietra dell'Etna da portare con sè come ricordo: ma, d'altra parte, la medaglia da finisher è applicata suggestivamente, proprio su di un supporto di pietra lavica.
Al di là di tutto c'è, indifferente - in fondo - ed imperscrutabile, la cima dell'Etna che si erge oltre a circa 3300 di quota e di fronte a quest'ultima impennata del declivio che sale ripido verso quella cima solitaria da cui si leva in fogge mutevoli a seconda di come soffia il vento il fumo che si origina dalle viscere calde del vulcano sempre in attività, noi sembriamo piccolissimi e siamo indubbiamente costretti a ridimensionare il nostro ego e a metterlo nella giusta prospettiva.
Supermaratona dell'Etna da 0 a 3000 2013 (7^ ed.). Alla fine è il vulcano a rimanere invittoGli atleti che hanno compiuto una grande impresa correndo dal mare sino a quota 3000, pur essendo stati grandi nella loro impresa, devono allo stesso tempo riconoscere di essere davvero piccoli ed insignificanti davanti a tanta immensità.
E, quando, al termine delle otto ore di tempo massimo regolamentare, il campo base dell'arrivo verrà smontato, la montagna ritornerà al suo silenzio eterno, indifferente a tutto e rimarrà indomita e indifferente alla passione che ha condotto quegli uomini e quelle donne così vicino alla vetta come solerti formichine o come quegli uomini stolti che in un'epoca antica decisero di tentare la scalata all'Olimpo dove si si trovavano le dimore dei loro idee, per poter essere come loro.
Ma, di fronte a questo spettacolo e a queste imprese mirabolanti, abbiamo anche la consapevolezza che tra centinaia o migliaia di anni, queste avventure di singoli uomini e donne che hanno sprizzato sudore su queste pietre laviche (nelle 10 o 30 - o più - edizioni di questa splendida gara che si susseguiranno) saranno dimenticate, così come i nomi di coloro che, correndo, hanno conquistato quota 3000,  e la montagna sarà sempre lì, invitta ed impassibile a scandire il ritmo delle stagioni e lo scorrere del tempo: tutte quelle imprese messe insieme in una manciata di anni, pur costituendo un tempo abbastanza lungo secondo il parametro umano, saranno soltanto l'equivalente del tempuscolo che occorre per un veloce battito di ciglia.
Ma queste imprese, questo spirito sportivo, sono pur sempre necessari per darci l'occasione di sperimentare la meraviglia e per poter riflettere sulla finitezza e sull'insignificanza delle umane gesta di fronte all'infinito e all'eterno. 
Foto di Maurizio Crispi
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11 giugno 2013 2 11 /06 /giugno /2013 23:58

 

Cominci a correre e poi ti accorgi che hai fatto quasi due volte il giro del Mondo(Maurizio Crispi) Un mio amico su Facebook (Enrico Cortese) ha scritto sulla mia bacheca: "Mi dicono che Maurizio Crispi abbia percorso oltre 90.000 km di corsa...".
Nessuno mi aveva mai sollecitato a fare una simile riflessione.
Lì per lì, mi è sembrata una dichiarazione eccessiva.  Ed ho pensato: "In quattro e quattr'otto confuterò questa affermazione tanto esagerata"!
E, infatti, di primo acchitto, gli ho risposto: "Esagerato!", ipotizzando che facendo un conteggio molto approssimativo e sottostimato comunque sarei stato di moltissimo al di sotto di una simile cifra.
E, così, ho fatto un rapido calcolo, prendendo in considerazione il periodo intercorso dal 1989  al 2012 (anche se nel 2008 ho smesso di partecipare alle gare agonistiche e mi sono dedicato esclusivamente a molto tranquilli allenamenti).
Questo il ragionamento, dunque.
Nei primi tre anni in cui ho corso le maratone (a partire dai primi mesi del 1989) facevo una media di 120 km a settimana come allenamento, con una seduta di corsa ogni giorno.
Quindi 120X52X3 = 18720 km nei primi tre anni della mia carriera di runner. 
Poi ci mettiamo una media di 80 km a settimana (comprese le gare) dal 1993 al 2003. Quindi 80X52X10= 41.600. 
Dal 2004 al 2013, la mia media giornaliera è scesa ulteriormente: direi che ci siamo attestati attorno a 40 km settimanali sino al 2012. Quindi, 40X52X9=18.720.
Ricapitolando:
18.720+
41.600
18.720=
79.040 km
Non sono 90.000 km, ma ci vanno abbastanza vicino.
Una cifra che, ovviamente, è solo indicativa e va presa con beneficio d'inventario.
Ma ciò non toglie che io sono stato il primo ad esserne sorpreso.

Ho escluso il periodo antecedente al 1989, perchè non vi era alcuna regola: correvo e basta: e, da quando ho avuto il primo cane (un pastore tedesco) presi a correre ogni giorni per distanze consistenti (se, in modo approssimativo, prendessi in considerazione anche questo decennio, si giungerebbe ad un risultato sicuramente interessante) .
Forse, se ricominciassi ad allenarmi giornalmente e con maggiori carichi chilometrici, potrei raggiungere effettivamente la soglia dei 90.000 percorsi, cioè più di due volte la circonferenza della Terra all'Equatore.
Grazie, Enrico, per avermi stimolato a fare questa riflessione. Io non avevo mai tentato prima di quantificare.
Se tutti i runner facessero un calcolo così, sicuramente avrebbero delle sorprese da vertigine.
Tra l'altro, oggi, con i Garmin  è possibile registrare in memoria e poi trasferire nel proprio PC i propri allenamenti giornalieri e, quindi, il calcolo delle distanze complessive percorse potrebbe risultare infinitamente più semplice ed attendibile.
 

 

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Presentazione

  • : Ultramaratone, maratone e dintorni
  • : Una pagina web per parlare di podismo agonistico - di lunga durata e non - ma anche di pratica dello sport sostenibile e non competitivo
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  • Ultramaratone, maratone e dintorni
  • Mi chiamo Maurizio Crispi. Sono un runner con oltre 200 tra maratone e ultra: ancora praticante per leisure, non gareggio più. Da giornalista pubblicista, oltre ad alimentare questa pagina collaboro anche con altre testate non solo sportive.
  • Mi chiamo Maurizio Crispi. Sono un runner con oltre 200 tra maratone e ultra: ancora praticante per leisure, non gareggio più. Da giornalista pubblicista, oltre ad alimentare questa pagina collaboro anche con altre testate non solo sportive.



Etnatrail 2013 - si svolgerà il 4 agosto 2013


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Il perchè di questo titolo

DSC04695.jpegPerchè ho dato alla mia pagina questo titolo?

Volevo mettere assieme deio temi diversi eppure affini: prioritariamente le ultramaratone (l'interesse per le quali porta con sè ad un interesse altrettanto grande per imprese di endurance di altro tipo, riguardanti per esempio il nuoto o le camminate prolungate), in secondo luogo le maratone.

Ma poi ho pensato che non si poteva prescindere dal dare altri riferimenti come il podismo su altre distanze, il trail e l'ultratrail, ma anche a tutto ciò che fa da "alone" allo sport agonistico e che lo sostanzia: cioè, ho sentito l'esigenza di dare spazio a tutto ciò che fa parte di un approccio soft alle pratiche sportive di lunga durata, facendoci rientrare anche il camminare lento e la pratica della bici sostenibile. Secondo me, non c'è possibilità di uno sport agonistico che esprima grandi campioni, se non c'è a fare da contorno una pratica delle sue diverse forme diffusa e sostenibile. 

Nei "dintorni" della mia testata c'è dunque un po' di tutto questo: insomma, tutto il resto.

Archivi

Come nasce questa pagina?

DSC04709.jpeg_R.jpegL'idea motrice di questo nuovo web site è scaturita da una pagina Facebook che ho creato, con titolo simile ("Ultramaratone, maratone e dintorni"), avviata dall'ottobre 2010, con il proposito di dare spazio e visibilità  ad una serie di materiali sul podismo agonistico e non, ma anche su altri sport, che mi pervenivano dalle fonti più disparate e nello stesso tempo per avere un "contenitore" per i numerosi servizi fotografici che mi capitava di realizzare.

La pagina ha avuto un notevole successo, essendo di accesso libero per tutti: dalla data di creazione ad oggi, sono stati più di 64.000 i contatti e le visite.

L'unico limite di quella pagina era nel fatto che i suoi contenuti non vengono indicizzati su Google e in altri motori di ricerca e che, di conseguenza, non risultava agevole la ricerca degli articoli sinora pubblicati (circa 340 alla data - metà aprile 2011 circa - in cui ho dato vita a Ultrasport Maratone e dintorni).

Ho tuttavia lasciato attiva la pagina FB come contenitore dei link degli articoli pubblicati su questa pagina web e come luogo in cui continuerò ad aprire le gallerie fotografiche relative agli eventi sportivi - non solo podistici - che mi trovo a seguire.

L'idea, in ogni caso, è quella di dare massimo spazio e visibilità non solo ad eventi di sport agonistico ma anche a quelli di sport "sostenibile" e non competitivo...

Il mio curriculum: sport e non solo

 

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