(Maurizio Crispi) Quelle che seguono sono le mie personali riflessioni di fotografo (ex-runner di gare amatoriali lunghe ed extra-lunghe) presenta ad una Mezza maratona (in questo caso, è stata la Maratonina dei Nebrodi che, giunta alla sua 3^ edizione, è stata celebrata il 27 ottobre 201, a Sant'Agata di Militello (Messina). A differenza che nelle gare trail (di breve o lunga distanza che siano) e delle Ultramaratone (a tempo o in linea, point to point o in circuito), noto che qui - come in tutte le altre gare brevi su strada (diciamo pure sino alla Mezza Maratona o, in taluni casi, sino alla Maratona) il crinale tra l'evento sportivo amatoriale inteso come festa e tra la sua declinazione di luogo della retorica dell'eccesso si fa estremamente sfumato e sottile.
La mia lunga frequentazione delle gare di lungo corso, sia da atleta sia in veste di fotografo mi fa preferire proprio queste, perchè qui le due componenti sono fortemente amalgamate tra loro e non si osserverà mai l'eccesso fine a se stesso.
Il tempo caldo, quasi estivo.
Il mare, arrivando a Sant'Agata, d'un azzurro quasi abbagliante, liscio come una tavola.
Le palme sul lungomare evocano paesaggi esotici, dando l'impressione di essere in un avamposto della civiltà.
Il greto di sassi bianchi levigati come sono tutte le spiaggie di questa parte della costa settentrionale della Sicilia e l'azzurro levigato del mare si combinano perfettamente, stemperandosi l'uno nell'altro e nel melange del cielo intensamente azzurro.
Nei preparativi di gara e negli incontri con i tanti conosciuti che si incontrano e i tanti che conosco meno, perchè questi ultimi frequentano solo le corse su strada, lievita lentamente la componente agonistica e si osserva la tensione crescere.
E' un evento importante questa Maratonina dei Nebrodi, non solo perchè è prova valida ai fini della classifica finale nel Grand Prix regionale di maratonine, ma anche perchè è Cammpionato regionale di Mezza Maratona, in cui verranno assegnato i titoli individualie per società.
Ad attendere gli atleti a fine gara, vi sono delle belle medaglie e un ricchissimo allestimento di premi, dalle coppe gigantesche per i primi classificati a ricchi cesti, infarciti di prodotti locali per i primi classificati do ogni categoria.
L'atmosfera pre-gara è stata di entusiasmo: la solita, quella dei preparativi, degli incontri, delle foto di gruppo e, poi, quella della folla stipata prima della partenza con quel passaggio repentino - e sempre soprendente - al movimento e al volo, dal primo all'ultimo, da quello più veloce a quello più lento.
Poi, dopo la partenza, l'eccesso, anche.
Nelle gare su strade di adesso il livello degli atleti è cresciuto a dismiusra, i ritmi si sono velocizzati, il livello medio delle prestazioni è cresciuto.
I partecipanti pur di reggere a questa pressione si spremono a dismisura e sicuramente si sottopongono anche a tabelle di allenamento massacranti.
Si perde per strada non solo il senso della gara come festa, ma anche quello della corsa come divertimento e come evasione dalla routine quotidiana.
Tutto (ma ovviamente ci sono delle eccezioni: per fortuna!) sembra diventare uan questione di vita o di morte, come anche vine spostato da più il verbo imperioso della perfomance che richiede immani fatiche e sofferenze per limare anche solo di pochi secondi la propria prestazione.
Non mi riconosco in tutto questo.
Fotografo (e la macchina fotografica con uno zoom sufficnetemente potente ti mette nella condizione di osservare i volti degli atleti che sono lo specchio dell'anima ed anche del progetto sotteso), ma non condivido tutto questo.
Non riesco a comprenderlo sino in fondo: questa smania di fare diventare la propria corsa una "malattia" e assieme un "lavoro" faticosissimo, che - alla lunga - rischia di divenire insalubre o anche di uccidere.
Vedere tanti che si affannano al di là delle loro forze mi dà un senso di costrizione e di tristezza.
Perchè ciò che vedo è il sintomo dell'incapacità di fare autocrritica, di accettare la dimensione del tempo che è passato e che ha lasciato i suoi segni, di venire a termini con i propri limiti.
Gente che arriva al traguardo ansimando, sputacchiando, stravolta, con la bava alla bocca.
Gente terrea o grigia in volto.
Gente che casca per terra e deve essere soccorsa.
Gente che inciampa e finisce rovinosamente a terra prima del traguardo intrappolata dai crampi e che, anzichè ringraziare di non aver riportato alcun danno a causa della caduta rovinosa, riprendono la loro corsa zoppicanti, afflitti dai crampi non risolti e, rischiando di cadere una seconda volta, "devono" tagliare il traguardo senza sconti.
Un tempo, nell'osservare queste scene, ero intrappolato io stesso dai miei occhiali di legno di praticante della corsa (ma l'autoironia mi ha sempre salvato dal diventarne un fanatico), oggi invece, mi sembra soltanto che venga messa in atto una penosa ed insulsa retorica dell'eccesso, nonche una forma di accanimento sportivo, pari soltanto a quelle forme di accanimento terapeutico che si praticano su persone che sono già cadaveri.
E tutto questo, in un'atmosfera sovraeccitata, guasta - a mio avviso - lo spirito della festa che in una gara amatoriale dovrebbe essere quello da ricercare, trovando sempre la giusta temperatura...
Tutto questo è in parte il risultato di un sovra-pompaggio mediatico dello sport non più come partecipazione ma come ricerca quasi sovrumana del risultato, del "bel" risultato, cosa che affligge al giorno d'oggi, quasi tutte le corse su strada (che dovrebbero essere per amatori, ma diventano tout court "competitive", dimenticando la necessaria attribuzione di "amatoriali"), dove ci si ritrova a livello individuale e di società ad una competizione sfrenata e quasi eccessiva, guardando in modo esasperato al risultato: il podio assoluto oppure quello di categoria; o ancora, non potendo fare di meglio anche limare di una manciata di secondi il proprio risultato nella stessa distanza (ma al prezzo di inennarrabili sofferenze): che è poi uno dei mali che afflige la società podistiche e la FIDAL stessa, come sottolinea Donati
Peraltro, il verbo della competitività spinta allo stremo è anche espressione della strenua lotta di ogni individuo per non non doversi trovare a camminare irreevocabilmente lungo il "viale del tramonto".
Sinchè si è in pista e, prossimi al crollo psico-fisico e con la bava alla bocca, si è in pista.
Ma tutto ciò implica la negazione di una relazione sana, igienica, salubre per la mente e per il corpo, con la corsa intesa come semplice attività sportiva.
Foto di Maurizio Crispi