Overblog
Segui questo blog Administration + Create my blog
17 luglio 2011 7 17 /07 /luglio /2011 08:25

Campionato-del-mondo-ultratrail-2011-0640.JPGQuello che segue è un bell'articolo divulgativo (a firma di Elena Dusi per Repubblica) che riporta alcune estrapolazioni della ricerca più avanzata nel campo delle neuroscienze applicate alla performance sportiva di alto livello. L'articolo dà una buona idea delle diverse forze in campo nella  performance sportiva di alto livello, ma si puove - a mio avviso - in un'ottico riduzionistica, poichè riduce tutto ad un problema di interazioni neurologiche, reclutamento di aree corticali più estese nell'atleta di alto livello, capcità di concentrazione e via dicendo.

Insomma, per sfuggire al riduzionismo della performance sportiva vista semplicemente come prestazione muscolare, si ricade in una forma di riduzionismo d'altro tipo - quello neurologico - più nobile se vogliamo, ma sempre riduzionismo.

In realtà quando si parla di "testa" o di   "mente" - se proprio si vuole considerare questo termine - in maniera olistica, c'è molto di più (che non è semplicemente la somma matematica di tutte le parti implicate).

Rimane tutto troppo prosaico, mentre rimane esclusa la possibilità di comprendere quella componente "esoterica" che va al di là di qualsiasi possibilità razionale di previsione.

Anche i grandi preparatori sportivi lo riconoscono: non si tratta di applicare soltanto un metodo e di predisporre delle tabelle. Nella riuscita di unprogramma di allenamento, c'è qualcosa di più che scatta nella relazione tra il singolo preparatore e il suo allievo, quel qualcosa di più che rimane inspiegabile e non trasmissibile.

Insomma, non è sufficiente conoscere a perfezione le ricette, per essere dei grandi cuochi.

Occorre una scintilla in più.

Quindi, a mio avviso, l'articolo di Elena Dusi, spiega e non spiega: certo, non è sufficiente a dirci cosa pote spingere - tanto per far un esempio - il grande Zatopek - detto la "locomotivava umana - a vincere in una stessa Olimpiade l'Oro nei 5000, nei 10.000 e in Maratona (record performativo tuttora imbattuto).

 

(Elena Dusi, su Repubblica.it) Non solo muscoli. Gli studi neurologici provano che la testa è il vero motore dei successi sportivi. Durante la gara la corteccia motoria è sfruttata al massimo. Ed è questo a rendere unico ogni atleta

LA vittoria è uno stato di grazia. E se i muscoli sono i suoi remi, il timone è nel cervello. Non avrebbe infatti vinto 48 partite sulle 49 giocate quest'anno (di cui 41 di fila) il tennista Novak Djokovic senza una testa ben al di sopra di gambe e braccio. Il segno di un campione è infatti una fluidità di movimento che sfocia nell'eleganza, una capacità di anticipare le mosse dell'avversario che sa di profezia, una tranquillità che sembra spensieratezza.

E ognuna di queste caratteristiche, dimostrano ora gli studi neurologici, nasce da un preciso tratto del cervello.

Che la testa di un campione sia diversa da quella di una persona normale non è solo una banale intuizione. Oggi è anche un dato osservabile con la risonanza magnetica. Questo strumento dimostra che il cervello vincente è paradossalmente poco impegnato.

Quando il neurologo dell'università di Chicago John Milton ha messo una accanto all'altra le risonanze magnetiche di un golfista dilettante e di un professionista, ha notato che le aree attive del cervello del primo erano molto più estese. Il giocatore esperto, nei secondi che precedono il colpo, sfrutta al massimo la corteccia motoria in cui tutto il repertorio dei colpi di un campione è conservato per essere ripescato al momento opportuno. Il golfista professionista di Milton non ha tracce di attivazione dell'amigdala o del sistema limbico (aree legate a timore ed emotività) come accade nell'amatore. "Il cervello di un giocatore esperto, di un ballerino o di un musicista è freddo, concentrato e non ammette intrusioni" scrive Milton. Non deve pensare al gesto atletico, che grazie alla pratica è diventato automatico e parte della sua stessa natura. Ma si focalizza sulle fasi di gioco, e non perde un attimo d'occhio l'avversario".

L'occhio di un campione d'altra parte non è meno speciale del suo cervello. Una ricerca dell'università della Florida pubblicata nel 2007 sul Journal of sport psychology ha dimostrato che le pupille di una persona normale si muovono ogni 150-600 millisecondi, mentre gli sportivi vincenti riescono a incollare lo sguardo alla palla o all'avversario fino a 1.500 millisecondi di seguito.

Nelle vene invece scorre la sete di vittoria, principalmente sotto forma di testosterone. Il cosiddetto "ormone dell'aggressività" è associato alla mascolinità, ma i suoi livelli aumentano prima di una gara anche nelle atlete donne, e si mantengono elevati dopo una vittoria per sgonfiarsi invece in caso di sconfitta. Una ricerca presentata al Congresso internazionale di neuroendocrinologia a Pittsburgh nel 2006 ha rivelato che il testosterone aumenta di più quando si gioca in casa. La causa non sarebbe il tifo del pubblico, ma più probabilmente l'istinto di difendere il territorio che scatta nei giocatori.

 

Non sono dunque soli i muscoli, ma questo mix di fattori a fare di uno sportivo un campione. E a spiegare l'affermazione che lo psicologo americano Timothy Gallwey ha affidato all'ultimo numero di Newsweek sulla "Scienza del successo": "Ci sono molti giocatori con il talento da numero uno. Ma solo uno diventa il migliore". E quando un colpo o un gesto o uno scatto escono dal corpo del campione con il massimo dell'eleganza e dell'efficienza, allora i cervelli dello sportivo e del suo pubblico reagiscono all'unisono con un getto di dopamina, l'ormone della perfetta soddisfazione".

 

(13 luglio 2011)

Condividi post
Repost0
3 luglio 2011 7 03 /07 /luglio /2011 07:15

Edipo-e-sfinge.jpgL'Enigma della Sfinge è il primo “indovinello” della storia di cui si abbia documentazione: secondo il racconto mitologico, veniva posto dalla Sfinge all'ingresso della città di Tebe ai passanti e chi non era in grado di risolverlo veniva divorato dal mostro e le sue ossa lanciate ai piedi del dirupo su cui la Sfinge dimorava.

La forma più conosciuta con la quale è giunto a noi è - più o meno - la seguente: “Qual è l'animale che al mattino ha quattro zampe, a mezzogiorno ne ha solo due e alla sera tre?", mentre un'altra variante conosciuta recitava: "Chi ha una voce e quattro zampe al mattino, due a mezzogiorno e tre la sera?"

Molti furono i viandanti che non seppero rispondere e che furono divorati dalla Sfinge: solo Edipo, sulla via di Tebe, in accordo con la profezia da tempo conosciuta da Laio seppe rispondere correttamente e la Sfinge – in preda all’ira - si gettò giù dal dirupo, lasciandogli la via libera.

Qual’era la risposta? È ovvio, perché noi siamo ormai scafati e conosciamo la storia di Edipo, nota e arcinota: quell’animale dell’indovinello è l’uomo che gattona da piccolo, cammina gagliardamente eretto nella maturità e che, da vecchio, ha bisogno di appoggiarsi ad un bastone.

ediposfinge.jpgCon Edipo, sembrerebbe verificarsi una svolta epocale che implica una riflessione e una consapevolezza sulle diverse età della vita, mentre era come se, prima di Edipo, questo aspetto non fosse così evidente e che, soprattutto, mancasse una capacità di autoriflessione sul tema dell’evoluzione, della trasformazione e dell’invecchiamento

Disconoscere le diverse età dell’uomo comporta che si verrà divorati dalla Sfinge, dunque l’annientamento immediato, mentre invece il loro riconoscimento, comporta il fatto che ciascuno possa sopravvivere all’incontro con la Sfinge ed essere libero di camminare verso il suo Destino, quale che sia.

A volte penso che a molti di quelli che praticano con determinazione rigida lo sport, infliggendosi gare faticosissime e carichi di lavori non indifferenti, insensibili ai cambiamenti nel loro corpo, legati all’invecchiamento, - anzi incrementando sempre di più il carico, man mano che gli anni passano, quasi in una dissennata corsa verso la dissoluzione - siano come quei viandanti che, non sapendo rispondere all’enigma sulle età dell’Uomo, si lasciano divorare dalla Sfinge, anziché trovare una via di sopravvivenza.

edipo-sfingePerché questa riflessione?

Nasce da un incontro ed una conversazione, che si è svolta in quei di Pistoia.

Incontro uno che è messo lì, a 500 metri dal traguardo che guarda gli arrivi della Pistoia-Abetone. Io non lo riconosco, lui sì e mi interpella: Sei Crispi, vero?

Sì! Sono io!

Non mi riconosci?

No, in questo momento no... mi dispiace, non sono molto fisionomista…

Ci siamo visti tante in molte gare, per esempio tanti anni fa eravamo insieme a Vicchio… [si riferisce alla prima edizione della Maratona di Vicchio sul Mugello, organizzata dal compianto Roberto Gherardi e riservata, ad invito, agli aderenti al Club dei Supermaratoneti]

Per un po’, rimaniamo in silenzio, mentre io indugio a fotografare i passaggi.

Poi, nell'attesa tra un passaggio e l'altro (ancora ci sono degli intervalli piuttosto lunghi tra un podista e quello successivo) chiacchieriamo un po'.

Non lo sai cosa mi è successo? – mi dice.

No. Cosa?

Mi stava finendo come a Roberto Gherardi…

Per chi non lo ricordasse - ma nel mondo del podismo amatoriale, del "popolo delle lunghe" tutti lo ricordano - Roberto Gherardi valente maratoneta e ultramaratoneta (era capace di fare la Nove Colli Running e, dopo appena una settimana, correre la 100 km del Passatore, con un tempo attorno alle 10 ore), ad un certo momento cominciò a soffrire di una patologia cardiaca, ma contro il parere dei medici e contro la volontà dei familiari, riprese a correre, ritenendo che solo la corsa fosse per lui fonte di vitalità e di realizzazione, invischiato – purtroppo – in una sorta di coercizione. Ma è chiaro che, quando tornò a correre, dopo una pausa di circa un anno, non fosse più quello di prima, anche se sempre con tempi di maratona tra le 4 e le 5 ore: accadde che, a 50 metri dal traguardo della Maratona di Calderara di Reno, si accasciò a terra in arresto cardiaco e non ci fu niente da fare per rianimarlo. Se ne andò così, lasciando il mondo podistico costernato e addolorato.

Mi si è fermato il cuore, durante una maratona. – ha continuato il mio interlocutore - Per fortuna mi hanno soccorso subito e mi hanno portato in ospedale. Sono rimasto per qualche tempo in coma e quando mi sono risvegliato, non era successo niente, cioè non ci sono stati danni neurologici, anche se ai miei avevano detto che ce ne sarebbero potuti essere al mio risveglio e che avrei potuto ritrovarmi come un vegetale.

E adesso corri?

No, ancora non ho ripreso... Vengo a guardare... Mi ritengo fortunato. E non parliamo di Govi poverino... – ha aggiunto.

Perché – faccio io - cosa gli è successo? [William Govi, dopo Giuseppe Togni, è il maratoneta con il maggiore numero di maratone corse in carriera: circa 600, anche se da un certo momento in poi si è distaccato dal Club degli Ultramaratoneti, fondato da Sergio Tampieri].

L’anno scorso, eravamo nel 2010, William stava facendo una gara a staffetta su di un circuito di 200 metri,- questo il racconto del mio interlocutore -la sua era una delle ultime frazioni e, all’improvviso, si è accasciato a terra, ma siccome l’incidente si è verificato nel punto più distante del circuito di gara, è stato soccorso in ritardo. Quando si è risvegliato dal coma, c’erano dei danni neurologici, non poteva parlare bene ed anche camminare solo con molte difficoltò. Adesso è ancora in terapia di riabilitazione e rientra a casa, ad Albinea, solo il sabato e la domenica, dove le due sorelle si occupano di lui.

E poi Toschi...

Cosa gli è successo?

Gli è gonfiata l'aorta nel petto. Come si chiama quella cosa lì? Lo hanno dovuto operare...

Ah! Allora, se mi dici questo, - dico io, forte delle mie competenze mediche -è stato un'aneurisma...

Sì proprio quello...

Ma io l'ho visto che correva ad una gara di poco tempo fa...

Sì, poi ha ricominciato a correre... Non si arrende... Poi è morto Sergio Tampieri [ma almeno lui, di malattia naturale, penso io, non falcidiato dalla sua testardaggine]

Se ne vanno tutti, fra poco non ne rimarrà nessuno – chiosa, per chiudere in qualche modo i suoi tristi pensieri.

Dopo una pausa di silenzio, gli chiedo: E tu? Non corri?

No io preferisco non correre adesso. Vengo a guardare le gare e i miei amici che gareggiano

E tu? - rivolgendo a me la stessa domanda.

Io? Io corro durante la settimana 40-50 minuti, ma non gareggio più. Troppa fatica e poi mi diverto di più così: gli indico la macchina fotografica.

 

Da qui scaturiscono le mie riflessioni.

A volte, perché io stesso ci sono passate, si rimane impigliati nella vuota retorica del Meglio vivere un giorno da leone che cento anni da pecora, mentre invece bisognerebbe avere la saggezza di riciclarsi, trasformarsi, crescere, accettare i cambiamenti, anziché negarli e andare a vanti alla cieca verso il proprio destino come i lemming che periodicamente, a migliaia, presi da una sorta di follia collettiva si gettano in mare da una rupe (anche se poi questo fenomeno s'è rivelato essere più che altro una "leggenda", utilizzata come metafora, e non un comportamento effettivamente riscontrato con criteri di osservazione scientifica).

Perché c’è quest’ansia della performance, questa difficoltà - quasi morbosa - a staccare e a rilassarsi un poco?

Credo che, innanzitutto, ci sia l'idea di essere invincibile ed inossidabile: e questo sentire abbassa pericolosamente le capacità di autocritica, portando a non vedere i cambiamenti e i piccoli sintomi-spia, a minimizzarli, a non ascoltare il corpo che ha bisogno di tempi di recupero più lunghi.

Ma poi c’è anche l'idea che, se ci si ferma, si è perduti, nel senso che si perde tutto l'allenamento e non si riuscirà più a riprenderlo.

Non manca anche una specie di ansia sociale: il timore, in altri termini, di non essere più visibile, a cessare di esistere come podista che compie imprese mirabolanti e che deve andare sempre al rialzo per essere "interessante", non piuttosto al ribasso, in funzione della riduzione delle risorse somatopsichiche e della capacità di recupero; la paura di essere dimenticato; la paura di perdere la propria identità sportiva; la vergogna di non sapere cosa rispondere alla fatidica domanda: ma tu non corri più? C’è qualcosa che non va? Come se la rinuncia a correre rappresentasse una macchia infamante per il proprio Sé e per la propria irrinunciabile identità di podista;  il timore, infine,  di essere compatito o dileggiato da passati “compagni d’arme”.

Un coacervo di ragioni diverse e disparate, insomma: bisogna imparare ad accettare le metamorfosi e a convivere con esse, anziché procedere in avanti in modo monocorde e monolitico.

Quello che occorre fare, prima di giocare una partita che potrebbe rivelarsi perdente, è spezzare il cerchio della dipendenza e della coazione a ripetere che, alla lunga, nei suoi effetti ultimi, potrebbe rivelarsi mortifera ed insensata.

In fondo, non è necessario vivere pensando che bisogna sempre "tenere botta"  o "stare in campana": ad un certo punto, si possono anche deporre le armi, appendere - metaforicamente - le scarpe da corsa ad un chiodo e fare qualcosa d'altro, per scoprire magari che la cosa che ci piaceva di più, nella pratica della corsa reiterata e della partecipazione no-stop a eventi agonistici nei luoghi più disparati, era la dimensione del viaggio, che era quella la molla propulsiva che ci spingeva a muoverci su e giù per l'Italia ed anche all'estero, all'inseguimento dei più svariati eventi di maratona e ultramaratona, per poi compiere - dopo il viaggio di "avvicinamento" - la gara, che era di per sé un altro viaggio che era contenuto in quell’altro viaggio ed insieme metafora della vita, come in un sistema complesso ed articolato di scatole cinesi.

Ciò che ci rende liberi, tuttavia, racchiude in sé anche l'embrione delle prigionia, se cominciamo ad utilizzarlo in maniera coatta.

Quando guardiamo gli uccelli che volano, ci può capitare di pensare che le loro ali siano il veicolo di una libertà che a noi è preclusa perché quelle ali li conducono leggeri alti nel cielo, ma nello stesso tempo - osservando le cose secondo un'altra prospettiva – quegli stessi uccelli che sembrano liberi e leggeri sono prigionieri delle catene del cielo, perché non possono fare altro che volare.

Magari, se ci schiodiamo da un modo di valutare le cose poco duttile, potremmo avere la buona sorte di scoprire che il fascino maggiore di “andar per maratone” è il viaggio e allora, potremmo anche riciclarci nel sistema delle gare non competitive o delle camminate di fit e nordic walking, oppure ancora - in un percorso trasformativo e di crescita del nostro sé - approdare addirittura alla dimensione del pellegrinaggio per cominciare ad esplorare la via francigena oppure Il Cammino di Santiago.

Uno dei motti più celebrati degli Alcoolisti Anonimi recita così: Signore, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare; il coraggio di cambiare quelle che posso, la saggezza di poter conoscere la differenza.

Quando ero piccolo rimasi molto colpito da un film in bianco e nero che mio padre mi portò a vedere: era la storia di uno pieno di vitalità e gioiosità che, da bambino, essendo un trovatello, venne adottato dai frati di un convento per poi diventare lui stesso frate. Il passare degli anni veniva mostrato con delle riprese su di una scala a chiocciola che i frati usavano per spostarsi da un piano all’altro, una scala che andava percorsa in salita o in discesa più volte al giorno, per le varie esigenze della vita conventuale. Da ragazzino e da giovane monaco, il protagonista le percorreva in su e in giù, andando a grandi balzi, nell’età adulta prima correndo e poi a passo svelto, ma sempre vigorosamente, infine - nella vecchiaia - con passo sempre più lento e stanco, aggrappandosi con forza al passamano: e poi niente più.

Ecco, bisogna saper accettare, i necessari cambi di andatura senza intestardirsi a correre, quando il nostro corpo non ne vuole più sapere: allora bisognerà camminare oppure appoggiarsi ad un bastone.

Insomma, in poche parole, bisogna sapere accettare il declino, il tramonto e la fine che si profila al di là dell’orizzonte: in altri termini la nostra impermanenza e fragilità.

Quando ero ragazzo, mi capitava di incontrare nel Circolo di Canottaggio, che allora frequentavo, un famoso scultore palermitano ormai ultra-ottantenne (Geraci, si chiamava, autore di alcune statue in bronzo che adornano la mia città). In gioventù, aveva praticato il canottaggio ed era sua abitudine uscire ogni giorno per una lunga – per quanto a ritmo lento – vogata. Io e il mio compagno di armo eravamo appena diciottenni, giovani e vigorosi: quando ci vedeva che ci accingevamo ad uscire in barca per il nostro allenamento, Geraci ci diceva: Picciotti [in siciliano per dire "ragazzi"], mi raccomando, se abbatto, riportatemi a terra.

Noi giovani, alla sua richiesta, ridacchiavamo, dicendoci: “Ma è scemo?” e, considerando le sue parole come espressione d'una sua interiore bizzarria o come sintomo di insenilimento, annuivamo, ma senza mai prenderlo troppo sul serio. Il suo pensare ci era estraneo: non avevamo idea di cosa potesse significare, in termini di esperienza, il declino delle proprie forze.

Ma, in verità, ora che ci penso da adulto che presto transiterà nella senescenza, credo che quella sua frase fosse, molto in sintesi, una riflessione sulla morte immanente e sul senso e sull'accettazione del proprio limite che tutti noi, prima o poi, dovremmo cominciare a coltivare per potere essere pronti, quando verrà il giorno.

Condividi post
Repost0
4 maggio 2011 3 04 /05 /maggio /2011 20:02

ad-astra-per-aspera.jpgPer Aspera ad Astra è il motto che gli organizzatori della Abbots' Way hanno scelto per caratterizzare la gara che hanno voluto sull'antica via degli Abati che gli abati del Monastero fondato da San Colombano percorrevano per andare da Bobbio a Roma e viceversa, in un percorso che consetniva loro di tenera viva la tradizione della regola Colombianana che voleva gli abati impegnati non solo nella preghiera e nel lavoro quotidiano, ma anche nella preservazione della cultura e della tradizione scritta.

La gara di ultratrail denominata "Abbots' Way" ha riportato a nuova vita pulsante un percorso di cui lo storico Magistretti ha intuito l'esistenza per via indiziaria sulla base di una serie di documenti e di tracce architettoniche, ma che non è ancora stato indiciduato come percorso "tracciato".

La "Via degli Abati" si intreccia con la più nota, e meglio conservata, Via francigena.
Gli organizzatori hanno scelto questo motto sia per ricordare a se stessi l'importanza del loro impegno e della lotta che, anno dopo anno, compiono per realizzare ogni nuova edizione (e quando il runner arriva e vede tutto l'impianto organizzativo perfettamente funzionante, non riesce ad avere nemmeno la più pallida idea della fatica che c'è voluta per metterlo in piedi, del senso di incertezza e dello sconforto che spesso chi organizza deve patire quando vede che non  supportato a dovere e con tempestività dalle istituzione oppure quando non trova prontamente aiuto e collaborazioni costruttive.
Quindi il motto è - a mio avviso - per loro stessi, ma in secondo luogo - ovviamente - per i runner e i trailer: sta ad indicare perfettamente l'impegno, la lotta, la dedizione che consentono di conquistare alla fine il premio, che non è quasi mai - si badi bene - lìaver conquistato un posto sul podio, ma quello della consapevolezza di avercela fatta lottando contro le proprie debolezze e contro mille difficoltà ambientali.
Questo motto mi piace veramente tanto, al punto che una volta lo feci incidere in sigla all'interno di un anello che per qualche tempo indossai e s'abbina perfettamente ad un'altra frase che porto sempre con me (scolpita nella mente), che rievoco frequentemente nei miei momenti di incertezza e in quelli di difficoltà esistenziali e che così recita "Our earthly condition is that of passengers, of passers-by, of incompleteness moving towards fulfilment and, therefore, of struggle".
E credo che la condizione dei trailer e degli ultrtatrailer - in piena sintonia con lo spirito trail di cui tanto si parla - sia appunto quella di "viandanti" che attraverso questo correre che li porta più vicino al cielo e alle stelle vanno alla ricerca di un completamento interiore: una ricerca che è non mai tranquilla, tuttavia, ma sempre sofferta, di lotta appunto - e in questo c'entra l'agonismo inteso nel senso più puro del termine.
Per aspera ad astra è una sintesi di una frase più lunga che è Per aspera sic itur ad astra, dal significato letterale: «Attraverso le asperità (si arriva) alle stelle» e il senso traslato «La via che porta alle cose alte è irta di ostacoli» oppure  «Il successo si ottiene solo con la fatica». (Seneca, Hercules furens atto II v. 437).
Con tale espressione si vuole indicare che la tensione verso le sommità accompagna un animo grande attraverso le fatiche, l'anelito alle cose eccelse si libra al di sopra delle avversità. Ogni ambizioso traguardo richiede sacrifici, e quanto più un'impresa si presenta difficoltosa, tanto maggiore è la soddisfazione nel riuscire a portarla felicemente a termine.
La sua origine deriva probabilmente dalla mitologia greca, in cui gli eroi - Ercole in primis - alla loro morte venivano portati sull'Olimpo; ma essere eroi implicava appunto avere compiuto una serie di imprese faticose.
Un'altra locuzione utilizzata per esprimere questo concetto è Ad augusta per angusta (Alle cose eccelse attraverso le difficoltà).
Si richiama anche alla sintetica formulazione del detto di Seneca: “Non est ad astra mollis e terra via” (Non è facile la strada che dalla terra porta al cielo) e cioè gloria e virtù sono al fondo di una strada cosparsa di gravi sacrifici.
 L'efficacia del motto è, inoltre, dovuta alla paronomasia fra i due termini, che gli conferisce un suono altamente espressivo.
La frase, a titolo di curiosità, è presente signifiativamente su una piastra commemorativa dell'Apollo 1 ove persero la vita il pilota comandante Virgil I. Grissom, il pilota maggiore Ed White, e il pilota Roger B. Chaffee, ma scritta al contrario, cioè "Ad astra per aspera". Le voci secondo cui la NASA avrebbe assunto la frase compe proprio motto sono in realtà infondate.

IN MEMORY OF THOSE WHO MADE THE ULTIMATE SACRIFICE
SO OTHERS COULD REACH FOR THE STARS
AD ASTRA PER ASPERA
(A ROUGH ROAD LEADS TO THE STARS)
GOD SPEED TO THE CREW OF APOLLO 1

che tradotto fa così:


IN MEMORIA DI COLORO CHE HANNO RESO L'ULTIMO SACRIFICIO
PERCHÉ ALTRI POTESSERO RAGGIUNGERE LE STELLE
AD ASTRA PER ASPERA
(ATTRAVERSO LE ASPERITÀ ALLE STELLE)
BUON VIAGGIO ALL'EQUIPAGGIO DELL'APOLLO 1

Per chi non lo ricordasse, Apollo 1 è il nome che fu dato alla navicella Apollo/Saturn 204 (AS-204) dopo che fu distrutta dal fuoco in una esercitazione il 27 gennaio 1967, al Pad 34 in cima al razzo Saturno IB. Il suo equipaggio era composto dagli astronauti selezionati per iniziare il programma Apollo: il pilota comandante Virgil I. Grissom, il pilota maggiore Ed White, e il pilota Roger B. Chaffee.
Immediatamente prima dell'incidente, l'equipaggio stava adagiandosi nei rispettivi sedili orizzontali e completando la checklist, mentre un problema relativo al sistema di comunicazione era stato riparato. Improvvisamente, una voce (ora si ritiene che fosse di Chaffee, dato che era l'unico ad avere il canale audio libero) gridò "Fire, I smell fire" cioè "Fuoco, sento del fuoco". L'equipaggio non ebbe la possibilità di fuggire, dato che il portello con apertura interna poteva aprirsi solo con la capsula non pressurizzata.
In Wikipedia sono citati i molteplici utilizzi moti (e i più svariati) della frase di Seneca.

Se qualcuno volesse potrebbe arricchire questo lungo elenco anche con l'uso del motto da parte del team organizzatore della Abbots' Way.

Condividi post
Repost0

Presentazione

  • : Ultramaratone, maratone e dintorni
  • : Una pagina web per parlare di podismo agonistico - di lunga durata e non - ma anche di pratica dello sport sostenibile e non competitivo
  • Contatti

About

  • Ultramaratone, maratone e dintorni
  • Mi chiamo Maurizio Crispi. Sono un runner con oltre 200 tra maratone e ultra: ancora praticante per leisure, non gareggio più. Da giornalista pubblicista, oltre ad alimentare questa pagina collaboro anche con altre testate non solo sportive.
  • Mi chiamo Maurizio Crispi. Sono un runner con oltre 200 tra maratone e ultra: ancora praticante per leisure, non gareggio più. Da giornalista pubblicista, oltre ad alimentare questa pagina collaboro anche con altre testate non solo sportive.



Etnatrail 2013 - si svolgerà il 4 agosto 2013


Ricerca

Il perchè di questo titolo

DSC04695.jpegPerchè ho dato alla mia pagina questo titolo?

Volevo mettere assieme deio temi diversi eppure affini: prioritariamente le ultramaratone (l'interesse per le quali porta con sè ad un interesse altrettanto grande per imprese di endurance di altro tipo, riguardanti per esempio il nuoto o le camminate prolungate), in secondo luogo le maratone.

Ma poi ho pensato che non si poteva prescindere dal dare altri riferimenti come il podismo su altre distanze, il trail e l'ultratrail, ma anche a tutto ciò che fa da "alone" allo sport agonistico e che lo sostanzia: cioè, ho sentito l'esigenza di dare spazio a tutto ciò che fa parte di un approccio soft alle pratiche sportive di lunga durata, facendoci rientrare anche il camminare lento e la pratica della bici sostenibile. Secondo me, non c'è possibilità di uno sport agonistico che esprima grandi campioni, se non c'è a fare da contorno una pratica delle sue diverse forme diffusa e sostenibile. 

Nei "dintorni" della mia testata c'è dunque un po' di tutto questo: insomma, tutto il resto.

Archivi

Come nasce questa pagina?

DSC04709.jpeg_R.jpegL'idea motrice di questo nuovo web site è scaturita da una pagina Facebook che ho creato, con titolo simile ("Ultramaratone, maratone e dintorni"), avviata dall'ottobre 2010, con il proposito di dare spazio e visibilità  ad una serie di materiali sul podismo agonistico e non, ma anche su altri sport, che mi pervenivano dalle fonti più disparate e nello stesso tempo per avere un "contenitore" per i numerosi servizi fotografici che mi capitava di realizzare.

La pagina ha avuto un notevole successo, essendo di accesso libero per tutti: dalla data di creazione ad oggi, sono stati più di 64.000 i contatti e le visite.

L'unico limite di quella pagina era nel fatto che i suoi contenuti non vengono indicizzati su Google e in altri motori di ricerca e che, di conseguenza, non risultava agevole la ricerca degli articoli sinora pubblicati (circa 340 alla data - metà aprile 2011 circa - in cui ho dato vita a Ultrasport Maratone e dintorni).

Ho tuttavia lasciato attiva la pagina FB come contenitore dei link degli articoli pubblicati su questa pagina web e come luogo in cui continuerò ad aprire le gallerie fotografiche relative agli eventi sportivi - non solo podistici - che mi trovo a seguire.

L'idea, in ogni caso, è quella di dare massimo spazio e visibilità non solo ad eventi di sport agonistico ma anche a quelli di sport "sostenibile" e non competitivo...

Il mio curriculum: sport e non solo

 

banner tre rifugi Val Pellice 194x109

IAU logo 01
  NatureRace header
BannerRunnerMania.JPG
 banner-pubblicitario-djd.gif
VeniceUltramarathonFestival
supermaratonadelletna.jpg
LogoBlog 01
runlovers
atletica-notizie-01.jpg


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pagine

Gli articoli più letti negli ultimi 30 giorni

 

ultrasportheader950.gif

 

 

Gli articoli più visti dal 24/03/2014 al 24/04/2014
Mobile Virgin Money London Marathon 2014 (33^ ed.). L'evento è stato… 2 303
Articolo Virgin Money London Marathon 2014 (33^ ed.). L'evento è stato… 1 728
Home Ultramaratone, maratone e dintorni 579
Mobile Maratona del Lamone 2014. Podisti fanatici e ignoranti affermano: Ti… 247
Articolo Ciao, Carmelo! Il commiato di Elena Cifali - Ultramaratone, maratone… 241
Articolo Corsa, fatalità e senso di responsabilità - Ultramaratone, maratone e… 236
Mobile Ciao, Carmelo! Il commiato di Elena Cifali - Ultramaratone, maratone… 223
Mobile UltraMilano-Sanremo 2014 (1^ ed.). Il sapore della sfida, a pochi… 206
Articolo UltraMilano-Sanremo 2014 (1^ ed.). Il sapore della sfida, a pochi… 196
Mobile Virgin Money London Marathon 2014 (34^ ed.). L'evento è stato… 134
Articolo Maratona del Lamone 2014. Podisti fanatici e ignoranti affermano: Ti… 118
Mobile A 98 anni suonati Giuseppe Ottaviani fa incetta di Ori a Campionati… 104
Mobile Corsa, fatalità e senso di responsabilità - Ultramaratone, maratone e… 103
Articolo A 98 anni suonati Giuseppe Ottaviani fa incetta di Ori a Campionati… 102

 

Statistiche generali del magazine dalla sua creazione, aggiornate al 14.04.2014

Data di creazione 12/04/2011
Pagine viste : 607 982 (totale)
Visitatori unici 380 449
Giornata record 14/04/2014 (3 098 Pagine viste)
Mese record 09/2011 (32 745 Pagine viste)
Precedente giornata record 22/04/2012 con 2847 pagine viste
Record visitatori unici in un giorno 14/04/2014 (2695 vis. unici)
Iscritti alla Newsletter 148
Articoli pubblicati 4259


Categorie

I collaboratori

Lara arrivo pisa marathon 2012  arrivo attilio siracusa 2012
            Lara La Pera    Attilio Licciardi
 Elena Cifali all'arrivo della Maratona di Ragusa 2013  Eleonora Suizzo alla Supermaratona dell'Etna 2013 (Foto di Maurizio Crispi)
            Elena Cifali   Eleonora Suizzo
   
   
   
   
   
   

ShinyStat

Statistiche