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17 novembre 2014 1 17 /11 /novembre /2014 22:03
Ancora sul «caso» Di Cecco. Una lettrice stimola ulteriori considerazioni aggiuntive
Una lettrice di questo magazine ha scritto, esprimendo il suo pensiero sul "caso" Di Cecco - se così vogliamo chiamarlo -  che si è sviluppato a partire dalle esternazioni di Giorgio Calcaterra. Il suo intervento è interessante in quanto fa vedere chiaramente come la polemica in corso e il gran polverone che sta sollevando possano avere degli effetti distorcenti nella percezione che della questione possono avere persone - che per quanto competenti e colte - sono tuttavia al di fuori del campo specifico e non possiedono una conoscenza del quadro generale e dei meccanismi sottesi.
Pubblichiamo di seguito lo stimolante intervento di Tiziana Ciriminna, runner palermitana e di seguito alcune considerazioni aggiuntive e di chiarimento ulteriore.
(Tiziana Ciriminna) Premesso che, come ben sappiamo, l'atletica è considerata, rispetto ad altri più seguiti e danarosi sport, il parente povero del Calcio e del Ciclismo, e volendo  ingenuamente credere che, proprio perchè sport "povero", essa sia meno flagellata dalla piaga del doping, perchè sei così contrario al fatto che dalla IUTA provenga un segnale forte contro la presenza in nazionale di atleti  che, sebbene in un recente passato, abbiano giocato sporco?
Posso capire che un atleta che abbia fatto uso di doping  abbia diritto a una seconda possibilità o comunque a una "redenzione", ma sacrificare all'altare dei risultati l'integrità di tanti altri ultramaratoneti meno bravi che potrebbero essere convocati al posto di Di Cecco mi sembra un'ingiustizia peggiore.Se io fossi Calcaterra e venissi convocato a far parte di una squadra, che rappresenterà il mio paese, dove vengo accostato ad atleti "disonesti", anche io mi ribellerei!
O forse dovrei tacere e abbozzare in nome d'un affiatamento e una lealtà alla squadra tout court, che però nella realtà non esiste perchè tra colleghi non si condividono gli stessi valori?
Non credo che una squadra di ultramaratoneti capitanata da uno come Calcaterra non possa permettersi di ripensare una convocazione "sbagliata", a maggior ragione se il ripensamento è frutto di criteri di scelta più rigorosi.
Magari l'Italia  fosse più rigorosa in tutti gli altri campi! Non credo che ci renderemmo ridicoli, forse più credibili e seri!

(Maurizio Crispi) Ti ringrazio, Tiziana, per il tuo intervento che mi consente di chiarire alcuni punti. Innanzitutto, in ciò che tu dici vi è una piccola - ma grande, allo stesso tempo -inesattezza: infatti la IUTA - in quanto organizzazione riconosciuta dalla FIDAL con il compito di occuparsi del settore ultramaratone sia per quanto riguarda promozione, sviluppo ed organizzazione di Campionati italiani in specialità non riconosciute dalla FIDAL stessa, sia per tutto ciò che concerne il supporto tecnico agli atleti "di interesse nazionale" (per mezzo di raduni, convegni, consulenze nutrizionale ect) e per la loro selezione in vista delle convocazioni dei Campionati del Mondo 100 km, 24 h su strade e ultratrail - nell'approssimarsi del Campionato del Mondo - mesi addietro, ormai - ha regolarmente convocato Alberico Di Cecco, convocazione peraltro vidinata dalla FIDAL.
Quindi la IUTA non si dissocia dalla presenza di Di Cecco nel team azzurro, né sino a questo momento lo ha fatto, perchè il farlo implicherebbe sconfessare il suo stesso operato sulla base del "furore del gregge" animato dalle esternazioni violente di Giorgio Calcaterra.
Semmai si potrebbe dire che è stato Giorgio Calcaterra a "dissociarsi", tardivamente ed inopportumente.
Per quanto riguarda il caso sollevato da Calcaterra ho spiegato le cose più in dettaglio nel precedente articolo.
In ogni caso, i criteri di selezione sono abbastanza rigorosi e si basano su tre ordini di fattori:
  • le prestazioni conseguite nei due anni precedenti
  • la capacità di riconfermare nel periodo preso in esame le proprie prestazioni in ultramaratone
  • le qualità dell'atleta tra le quali la sua attitudine mentale nel portare a termine le gare di ultra cui partecipa
Ma - aggiungerei io - anche sulla capacità di essere nella squadra.
Criteri peraltro chiari e pubblici che si possono leggere in una speciale sezione nel sito della IUTA
In più per quanto concerne Di Cecco siamo di fronte ad un atleta che, mettendo da parte i trascorsi (positività al doping da lui sempre negata ed ascritta ad errori ed improprietà nella catena del trasporto del campione ematico), ha vinto importanti gare di gare di ultramaratona, ma non solo: poiché ha già partecipato ad un mondiale di Ultramaratona (a Seregno nel 2012), conquistando il bronzo mondiale nella gara individuale e l'Oro in quella a squadre e che si è laureato nel 2013 Campione Italiano FIDAL 100 km.
E in quella gara la sua prima in maglia azzurra ha mantenuto strenuamente un'impeccabile condotta di gara - malgrado un grave malessere gastro-intestinale che lo ha afflito nella seconda metà gara - e ciò per onorare al massimo la sua prima partecipazione ad un Mondiale 100 km e di non essere di detrimento alla squadra che grazie alsuo 3°posto sul podio  ha potuto conquistare l'Oro Mondiale.
In tutte queste gare erano previsti - secondo regolamento in applicazioni delle norme WADA - i controlli antidoping che hanno dato, nel suo caso, esito negativo.
Quindi, a mio avviso, la sua selezione ha rispettato i criteri ed è scaturita da una valutazione ineccepibile.
Se qualcuno aveva da dire qualcosa, lo avrenbbe dovuto fare quando - scontato il periodo di penalizzazione, egli ha preso a gareggiare nelle gare di ultramaratona oppure quando ha conquistato il titolo nazionale di Ultramaratona.
Come si dice nella formula che viene pronunciata nelmomento in cui ci si spos: "Chi ha dire qualcosa che osta, la dica ora o taccia per sempre!".
Calcaterra avrebbe avuto ragione a ribellarsi davanti alla convocazione di Di Cecco se fosse stata riscontrata una positività all'antidoping nel periodo preso in esame o se ci fossero stati in tal senso dei più che ragionevoli dubbi.
Mi sembra che, sostanzialmente, i modi con cui Calcaterra ha proceduto siano stati scorretti e e che egli abbia fatto le sue esternazioni in un momento del tutto inopportuno, con una tempistica assolutamente infelice.
Le altre squadre nazionali - da quello che ho potuto vedere in occasione di tutti Mondiali 100 km e 24 ore che ho avuto modo di seguire e da ciò vedo nella stampa specializzata - sono molto più coese e da parte di un rappresentante di un team nazionale non si sono mai verificate prese di posizione pubbliche così eclatanti che getterebbero solo discredito sull'intera squadra e sulla sua dirigenza.
Insomma, con i nostri modi, coni nostri livori, con le aggressività fuori luogo e con il nostro amore per la polemica fine a se stessa, dimostriamo sempre di far parte di un'Italietta sconvolta dai risentimenti e dalle invidie personali, a dimostrazione del teorema per il quale invertendo l'ordine dei fattori il risultato non cambia.
Nell'articolo precedente (Freewheeling Calcaterra alla vigilia del Mondiale 100 km. Una riflessione sulla forma e sui contenuti delle esternazioni di Re Giorgio) mi sonosoffermato in termini di critica sia sugli aspetti formali sia su quelli di contenuto delle esternazioni di Calcaterra, in cui poi - agli occhi degli altri - tutto si riduce all'attacco di un Campione Italiano 100 km (più volte medagliato) contro un altro, in una gara a cui peraltro lui non ha mai partecipato.
Perchè ad esempio - c'è da chiedersi - Giorgio Calcaterra, con le sue proverbiali capacità di recupero non ha mai partecipato ad altre 100 km in territorio nazionale?
O vogliamo parlare del fatto che, in maniera contraria a quanto recita il regolamento, alla 100 km del Passatore Giorgio Calcaterra gode sempre del privilegio di avere l'assistenza personalizzata in gara da parte della fidanzata che lo precede su di una scooterone e che gli fornisce, all'occorenza, (si spera in area ristri, tutto ciò di cui ha bisogno, nonchè il conforto morale della sua presenza, come un Angelo cusotode?
Insomma, personalmente, sono abbastanza disgustato dall'intera vicenda che getta una luce di discredito sul mondo delle ultramaratone nostrano che, in generale, si ritiene puro e non contaminato dalle più volgari bagarre che animano in il mondo delle competizioni agonistiche e, in particolare, quello delle corse su strade su distanze piùbrevi (sino a alla maratona).
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17 novembre 2014 1 17 /11 /novembre /2014 12:56

Il caso Di Cecco, balletto schizofrenico in salsa italiana. L'effetto farfalla delle esternazioni di Re Giorgio

(Maurizio Crispi) Il caso "Di Cecco" a partire dal polverone sollevato da Calcaterra con le sue - a mio avviso - infelici esternazioni si sta trasformando in un balletto plasmato da una forma di schizofrenia tipicamente "all'italiana".
Se c'era qualcosa da dire e da obiettare, tutto ciò avrebbe dovuto essere fatti mesi prima, caso mai, eventualmente mettendo in discussione le prestazioni di Alberico Di Cecco in Ultramaratona.
Perché nessuno l'ha fatto prima?
A Seregno, nel 2013 ha conquistato il titolo di Campione Italiano FIDAL100 km 2014, dove secondo regolamento è stato sottoposto ai regolamentari controlli anti-doping..
Nessuno lo ha messo in discussione. 
Ritengo che tutta questa disquisizione, unitamente alle accusa di scarsa credibilità della IUTA che, tra l'altro, nelle selezioni degli atleti, opera nel nome e per conto della FIDAL, alla vigilia di un Mondiale che arriva dopo due anni (il Mondiale 2013 non si è potuto disputare) sia assolutamente inopportuna perché sta creando disarmonie e perdita della necessaria concentrazione e armonia all'interno del team azzurro, sia nella sua componente di atleti sia in in quella dei dirigenti.
In più stiamo mettendo in scena un "balletto" che non giova alla nostra credibilità sportiva in uno scenario internazionale. Credo davvero che nessun altro team nazionale si esporrrebbe ad uno spettacolo tanto penoso e sconfortante: e simili sceneggiate ti fanno un po' vergognare di essere italiano.
Mettiamo che Alberico Di Cecco venga escluso dal team azzurro, a detrimento delle buone possibilità del gioco di squadra, visto che le sue prestazioni in ultramaratone (comporvate "pulite", alla luce del titolo italiano conseguito) ed anche il suo bronzo mondiale a Seregno nel 2012, ci portano a pensare che egli possa essere anche in questo frangente uno pilastro del team nazionale: a chi gioverebbe questo risultato. Forse soltanto ai moralisti accecati dalla loro stessa ira.
Ma, per il resto, sarebbe una vittoria di Pirro; e, in ogni caso, già adesso, per come stanno andando le cose sii sta gettando il ridicolo addosso al team azzurro, alla IUTA e alla FIDAL, di fornte ad una platea internazionale.
E, quindi, non si può che applaudire a Re Giorgio per le sue esternazioni che stanno provocando cotanti effetti!
E, aggiungerei, visto che si tira in ballo la Carta etica che la FDAL ha adottato a partire del Gennaio 2014, che dire dei principi fondamentali su cui si fonda che sono il "rispetto", nonché la "fiducia" reciproca" e la "lealtà", o anche la solidarietà tra compagni di squadra, principi che lo stesso Calcaterra è stato il primo ad infrangere, attaccando a spada tratta un suo pari?

 
Due gli articoli da attenzionare in merito alla questione, di recente pubblicati, entrambi su www.atleticalive.it.


Consiglio federale 2: la Fidal silura Di Cecco, Iuta messa in riga

 

Di Cecco ai mondiali di Doha e il balletto dello scaricabarile – e in Fidal minacciano la scissione… da sè stessi

 

Si rimanda anche alla Carta Etica adottata dalla FIDAL, a partire da Gennaio 2014, che regola il comportamento etico di atleti, allenatori, dirigenti  e familiari e che si basa sui seguenti principi generali:

La Carta Etica si fonda sui seguenti principi che attengono non soltanto all'esperienza sportiva, ma contribuiscono in maniera decisiva anche alla formazione della persona all'interno della vita sociale:
  • il RISPETTO di sé stessi: ognuno deve avere riguardo dei limiti imposti dal proprio fisico e dai propri ideali, praticando l'attività al meglio delle capacità personali. Inoltre, il RISPETTO degli altri è fondamentale per mantenere una sana convivenza sociale con tutti coloro che interagiscono all'interno del mondo atletico.
  • Ogni individuo è tenuto al rispetto del principio di LEALTÀ durante la pratica sportiva, attribuendo il giusto valore alla competizione. E' importante osservare tutte le regole che disciplinano l'Atletica, sia a livello nazionale che internazionale. E' complementare a tale principio l'ONESTÀ, in forza della quale ognuno è tenuto a riconoscere la superiorità del rivale ovvero a non infierire in caso di sua manifesta inferiorità. Questi due valori insieme contribuiscono alla formazione di una SANA COMPETITIVITÀ, quale fine fondamentale a cui tendono i principi della presente Carta Etica.
  • Nel relazionarsi con gli altri ogni individuo deve essere mosso da un sentimento di FIDUCIA RECIPROCA verso il prossimo per favorire il rispetto delle opinioni altrui con la consapevolezza che lo stesso trattamento verrà riservato per le proprie.
  • La Carta Etica si fonda anche sul principio di INTEGRAZIONE. Sono infatti favorite tutte le esperienze volte alla realizzazione di una stretta connessione tra bambini, privilegiando la dimensione ludica e creativa dell'Atletica; per attuare questa vera integrazione si vuole incoraggiare l'aggregazione di ragazzi stranieri ed il coinvolgimento dei disabili.
  • L'Atletica vuole assumere la dimensione di sport “SOSTENIBILE” al fine di scongiurare che lo sviluppo fisico ed emotivo sfoci in esasperazioni o aberrazioni, ma tenda sempre a mantenersi equilibrato e rispettoso delle proprie ed altrui aspettative.
 
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12 novembre 2014 3 12 /11 /novembre /2014 14:25
Freewheeling Calcaterra alla vigilia del Mondiale 100 km. Una riflessione sulla forma e sui contenuti delle esternazioni di Re Giorgio(Maurizio Crispi) Mi sento fortemente sollecitato ad esprimere due pensieri in merito all'ennesima polemica suscitata da Giorgio Calcaterra, nei confronti di uno dei componenti della squadra azzurra che rappresenterà l'Italia ai prossimi (ed imminenti) Campionati del Mondo 100 km che avranno luogo a Doha (Qatar) il prossimo 21 novembre 2014: esternazioni a mio avviso inopportunamente pubblicate su podisti.net (Convocazioni per i mondiali della 100 Km: Calcaterra si ribella; articolo divulgato l'11 novembre 2014), all'insegna d'un malinteso principio di libertà di stampa e di opinione, ma si sa che su internet le notizie che fanno cassetta sono sempre quelle malevole, quelle scandalistiche, quelle che alimentano in una spirale senza fine di pregiudizio e di intolleranza, spesso francamente offensive se non vicinio alla diffamazione, se non la sostanza tecnica quanto meno nello spirito.
Non starò qui a riprendere il contenuto delle affermazioni di Giorgio calcaterra, perchè la sua posizione è da sempre nota e la musica non è cambiata neppure di un poco. Chi vuole seguendo il link può andarsi a leggere il testo dell'intervista e nemmeno farò il nome del compagno di squadra su cui Calcaterra si accanisce.
Vorrei piuttosto commentare su due ordini di questioni, una formale in primo luogo eduna di contenuti.
Per quanto concerne quella formale, vorrei ricordare che, quando ci si avvicina ad importanti competizioni internazionali come le Olimpiadi o i Campionati del Mondo dei diversi sport, le squadre nazionali si trovano in genere a dover seguire un codice che riguarda esternazioni e dichiarazioni stampa. Mentre sulle questioni generali concernenti la squadra nella sua globalità chi è chiamato ad esprimersi è sempre il dirigente tecnico o, per lui, un portavoce (o addetto stampa che sia), agli atleti è lasciata la libertà di fare commenti - se intervistati - sulla propria forma fisica e/o sulle proprie aspettative.
Qualsiasi esternazione a ruota libera che riguardi i compagni di squadra o i criteri con cui la squadra è stata costituita (a partire dai criteri di convocazione) andrebbero censurati e redarguiti: in ogni caso dovrebbe far parte del codice etico di un atleta che ha il senso dell'appartenza ad una squadra auto-censurarsi ed impedire che, dalle sue dichiarazioni, possano emergere tensioni, dissapori, contrasti, o violente antipatie che possano minare il morale, la solidarietà e la buona armonia che devono vigere all'interno di un team nazionale, come quello di cui il freewheeling Calcaterra fa parte alla vigilia della partenza del massimo meeting internazionale nella disciplina.
Giorgio Calcaterra a cui da sempre vanno tutte le mie simpatie è un "re" autentico della 100 km: vincitore per ben 9 volte consecutive della 100 km del Passatore, tre volte Campione delMondo di specialità, per non parlare di innumerevoli altri titoli. Ma, anche se Re nella sua specialità, non è esentato  dal condividere un codice etico con i suoi compagni di squadra, con i dirigenti IUTA e, alle loro spalle, quelli della FIDAL.
Questo per ciò che riguarda dal'aspetto formale: il violento attacco di Giorgio calcaterra getta solo del fango - ed inutilmente- sula maglia azzurra e sul Tricolore.
Ma veniamo all'aspetto relativo ai contenuti.
Calcaterra si scaglia con veemenza contro un atleta che ha avuto delle vicissitudini di doping. 
Innanzitutto, non sempre i controlli anti-doping sono eseguiti con il pieno rispetto delle norme: e, nel caso dell'atleta in questione che ha sempre protestato la sua innocenza, sono state commesse - a sentire persone competenti informate sui fatti - delle violazioni di protocollo.
Ma ammettiamo pure che ci sia del vero e che, in passato, questo atleta si sia sottoposto a pratiche dopanti.
E' stato riscontrato positivo.E' stato squalificato. Ha scontato il suo periodo di penalità.
Perchè si deve pensare per forza che, nel suo caso, siano impossibili la redenzione e il riscatto?
Perchè pensare obbligariatoramente che, quando uno ha sbagliato, debba continuare a sbagliare?
Perchè non dover pensare, invece, che anche chi ha sbagliato, se si è riabilitato (o in un'ottica cristiana, redento) non possa essere di esempio ad altri che, malauguratamente debbano trovarsi - in momenti bui della propria vita - a ripercorrere la stessa strada?
in un caso o nell'altro, il nostro atleta - quello contro cui Giorgio Calcaterra lancia i suoi strali infuocati  - si è indirizzato ad un campo nuovo e ha lanciato con se stesso innanzitutto la sfida dell'Ultramaratona, scegliendo di essere seguito da un coach di tutto rispetto che, tra l'altro, nella sua storia personale, si trovò - come Dirigente e come Allenatore - a prendere posizione contro quell'ala della FIDAL favorevole ad intraprendere vie brevi e pratiche dopanti per portare i nostri atleti a livelli di maggiore competitività nei confronti dello strapotere USA e di altre nazioni.
Il nostro atleta ha fatto bene nelle ultramaratone, giostrando tra la distanza di 50 km e quella dei 100 km. Ha conquistato dei titoli importanti e del pari ottime sono state le sue prestazioni cronometriche.
Ha partecipato a competizioni nazionali ed internazionali dove erano previsti i controlli anti-doping cui è stato sottoposto, controlli che non hanno evidenziato nessuna irregolarità.
E dunque?
Dove sta il problema?
Perchè gettare discredito e fango addosso ad un atleta e,cosìfacendo, gettarlo addosso a tutto un team?
In ogni caso, caro Giorgio, io penso che bisognerebbe stare attenti a non diffondere pregiudizi e a non fomentare intolleranze, anche soltanto perchè ciò è contrario ai principi della civile convienza e della cristiana solidarietà tra gli uomini.
E, del resto, il Vangelo ci avverte: "Chi è senza peccato scagli la prima pietra" (Giovanni 8,1-11)
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12 novembre 2014 3 12 /11 /novembre /2014 05:07

Donne che corrono unite contro la violenza esercitata sulle donne

 

(Elena Cifali) Non si parla mai abbastanza di donne.
Di pochi giorni fa la notizia di una donna runner aggredita a Milano mentre faceva la sua corsetta giornaliera lungo il Naviglio.
Ancora una volta una donna é stata presa di mira nel momento in cui le era più difficile difendersi.
Bisognerebbe applicare delle punizioni esemplari per chi commette di questi crimini.
Ma per fortuna le donne non si arrendono.
Loro sono capaci di affrontare con dignità ogni difficoltà pur di correre, pur di fare ciò che le rende felici ed appagate.

Io, donna tra le 78 donne che oggi hanno tagliato il traguardo alla Maratonina della città di Siracusa.
78 donne e ben 490 uomini, siamo sempre in minoranza: una minoranza schiacciante la nostra, potremmo subire il “peso” di così tanti uomini che a gambe levate molto spesso ci fanno mangiare la loro polvere.
Ed invece no! Noi tagliamo il traguardo con tale fierezza e con tale passione che sembra, di volta in volta, che siamo state noi le vincitrici assolute.

Non è semplice districarci tra la famiglia, i figli e spessissimo anche il lavoro. L’hobby della corsa richiede ore e ore di allenamento e sicuramente di tempo ne abbiamo meno rispetto ai nostri colleghi di sesso opposto.
Ma oggi le donne hanno vinto in tante città d’Italia, lanciando un messaggio forte: Noi - ci - siamo!
Noi ci siamo e per ognuna di noi che viene aggredita nel parco mentre corre altre mille si vestono di bianco e vanno a correre con lei e per lei, perché dimenticare questi crimini sarebbe un crimine ancora più grande.
Noi donne, dignità, fierezza, spirito di sopportazione e sacrificio, ecco cosa siamo.
A Siracusa, in occasione della Maratonina di Archimede (che si è svolta il 9 novembre 2014) tra le tante amiche una ha colpito il mio animo in maniera particolare, aprendomi il suo cuore, spalancando le porte della sua interiorità: Luisa Risino.
Luisa, conosciuta su FB qualche settimana fa, tutte le sere non manca di darmi la buona notte e dirmi qualche parola gentile.
Donne che corrono unite contro la violenza esercitata sulle donneOggi l’ho conosciuta di persona poco prima della partenza. Una donna stupenda, senza limiti, immensa nel cuore e nello spirito. L’ho rivista tre ore dopo, mentre passava il gonfiabile, braccia in alto, e urlo finale di liberazione.
Luisa ce l’ha fatta, nonostante gli acciacchi, nonostante le mille difficoltà ha vinto se stessa, ha combattuto i suoi demoni e alla fine ha portato a casa la sua medaglia.
Medaglia intrisa di sudore e di fatica, di passione e di soddisfazione. Una medaglia che sono sicura metterà al collo dei suo figli che sono la sua linfa.

In Luisa ho sempre creduto, le ho dato la giusta dose di coraggio, quel coraggio misto a incoscienza che fa di una donna una grande donna.
Luisa, io, le altre 76 donne di Siracusa e tutte le donne runner sparse nelle varie città d’Italia, vestite di bianco abbiamo gridato forte che noi ci siamo. Noi contro la violenza sui di noi e su ogni essere.
Coraggio, la nostra battaglia è appena iniziata, abbiamo allacciato strette le scarpette, siamo pronte a fare chilometri proteggendoci a vicenda non permettendo a nessuna di farci del male.

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25 giugno 2014 3 25 /06 /giugno /2014 20:05

L'Etna è maschio o femmina? Sul genere dei nomi geografici

(Maurizio Crispi) Ho notato negli articoli che mi giungono che molti, scrivendo dell'Etna, gli attribuiscono il genere femminile. E' un uso in verità non appropriato, perchè a parte le definizioni dialettali in cui l'Etna viene frequentemente chiamato "'a muntagna", la denominazione corretta sarebbe - quella che compare sulle carte geografica - "Il Monte Etna".

Quindi, l'Etna è una Maestà al maschile e non al femminile come molti sembrano ritenere o come molti vorrebbero: a meno che non ci sia in questa propensione una sottintesa volontà di affermare - anche in una questione terminologica - il predominio del genere femminile su quello maschile, oppure una tendenza psicologica (peraltro comprensibile) che spinge alcuni a vedere l'Etna come una Grande Madre primordiale, benchè terrifica nelle sue manifestazioni. Oppure un'Entità dall'identità di genere intercambiabile, Uomo o Donna, Padre o Madre, Fratello o Sorella - a seconda delle circostanze e delle necessità.

Alcuni concordano su questo assunto - quello grammaticalmente corretto - dicendo che l'Etna è maschile, ma che, in tante occasioni, diventa "a muntagna" e che, quindi, a volte, va declinato al femminile. "L'Etna è l'Etna, maschile e femminile al contempo" - afferma Elena Cifali, fautrice sfegatata della doppia identità del vulcano più alto d'Europa.
Certo, ma attenendoci alla grammatica ed anche come é riportato in tutte le fonti - è "il" monte Etna. Ma, psicologicamente e anche sotto il profilo del mito e della leggenda, si può capire il desiderio affettivo di farlo essere "ermafrodito",  o con un'identità di genere mobile, adattabile per tutti i gusti...
Se entriamo nel campo dell'immaginario o della fantasia, L'Etna lo potremmo far essere anche "trans", se solo volessimo: così tutti, nessuno escluso, avranno modo di identificarsi con lui/lei...

Personalmente, negli scritti che mi pervengono e che sottopongo ad una revisione redazionale prima di pubblicarli, apporto sempre le correzioni necessario laddove l'Etna viene impropriamente trattato al femminile.

Cercando delle conferme, ho fatto una breve ricerca nel web e mi sono imbattuto in un post dirimente, addirittura targato "Treccani".

 

L'estensore del post ammette che quella dell'attribuzione del genere ai nomi geografici della lingua italiana è una materia piuttosto difficile.Ciò nondimeno vi è una regola generale che rappresenta indubbiamente una partenza confortante, una di quelle che danno certezze.

Infatti, in italiano i nomi delle varie realtà geografiche (mari, monti, fiumi, laghi) di solito sono femminili o maschili a seconda del genere del sottinteso nome della “categoria” cui appartengono, ovvero maremontefiume, ecc. (tecnicamente, questo nome si chiama iperonimo): il (mareMediterraneoil (monteCervinoil (fiumePoil (lago) (diGarda. Talvolta, è obbligatorio utilizzare l'iperonimo. Quando? Non è possibile tirare giù elenchi su elenchi. Bisogna vedere caso per caso. Non è possibile, per esempio, dire *il Bolsena, ma bisogna dire il lago di Bolsena. Nella preziosa grammatica compatta Italiano di Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi e Glossario curato da Giuseppe Patota, garzantina 1988), si scrive (cap. II, par. 20) che, come nel caso di lago di Bracciano, che rende antimateria agrammaticale *Il Bracciano, non è possibile dire o scrivere *Il Bianco e bisogna dire o scrivere il monte Bianco. Qui si tocca con mano come la lingua sia in costante movimento. Quando si muove tanto e per un lasso di tempo ragionevole nella stessa direzione, le tendenze – e infine le regole – che la caratterizzano possono cambiare, per quel che riguarda questa o quella singola rotellina dell'ingranaggio. Tornando al nostro monte Bianco, una rapida ricerca tra gli archivi dei principali quotidiani mostra come l'ellissi il Bianco per il monte Bianco sia ormai molto frequente. Tre titoli a raffica ripresi dal «Corriere della sera»: Campione scialpinista muore sul Bianco (18 giugno 2012), Travolti dal ghiaccio, sciagura sul Bianco (13 luglio 2012), L' alpinista scampato alla valanga e la voglia di tornare sul Bianco (14 luglio 2012); nel corpo di un articolo: «Così ai piedi del Bianco torna il Festival delle Nuove Vie, kermesse letteraria promossa dalla casa editrice Liaison» (C. Car., «La Repubblica»,19 agosto 2012, Torino, p. 13); sempre nel corpo di un articolo ma senza… articolo (determinativo): «[si parla del Cervino, ndr] Nessun itinerario verso i 4.478 metri della cima è facile, a differenza di Bianco e Rosa» (Leonardo Bizzaro, «La Repubblica», 23 agosto 2012, Torino, p. 11).

 

Spero che questa notazione possa avere un valore dirimente in caso di dubbi ed incertezze.

Per me indubbiamente, sì.

E' chiaro che ciascuno può rimanere affezionato all'uso che preferisce, ma quando si pubblica qualcosa occorre essere precisi e dimostrare sempre di possedere una buona conoscenza della Lingua Italiana.

Il lavoro redazionale serve, tra le altre cose, anche a questo: evitare che compaiono in ciò che si pubblica piccoli strafalcioni ed errori. 

 

 

Vedi il post completo: "Nomi geografici, un genere difficile" su Trecani.it

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5 giugno 2014 4 05 /06 /giugno /2014 20:58

Comrades Marathon 2014 (93^ ed.). La gara femminile rimane ancora appannaggio delle bianche. Perchè?

 

Osservando i primi dieci top runner uomini e donne classificati alla 93^ edizione della Comrades Marathon (2014) si possono fare alcune considerazioni interessanti.
Innanzitutto, si noterà che nei primi dieci classificati uomini prevalgono i black runner: sudafricani i primi tre classificati, come pure il il 5°, il 6°, l'8° e il 10°, due dallo Zimbabwe (4° e  e 9°). Solo un europeo presente nei primi 10 (7°) ed è lo svedese Jonas Buud, ultramaratoneta di gran valore e più volte portacolori della sua nazione nei Campionati del Mondo di Ultramaratona.
Questo semplice dato contraddice la convinzione che le ultramaratone non siano territorio dei corridori africani.
Possono esserlo se c'è in ballo, in primo luogo, l'orgoglio nazionale che si esprime nel desiderio di primeggiare in una gara di grande fama e prestigio, ma anche - elemento non indifferente - se ci sono in ballo dei cospicui premi in denaro: in questo caso in Rand, valuta non pregiata, ma in ogni caso per un importo non indifferente.

La disponibilità di premi in denaro e l'orgoglio nazionale fanno la differenza e inducono molti black runner a cimentarsi in un'ultradistanza.
Molti si chiedono se lo scenario delle ultramaratone internazionali potrebbe cambiare se entrassero in gioco gli atleti africani che attualmente - salvo poche eccezioni - dominano lo scenario internazionale delle maratone e primeggiano nel ranking mondiale.
Probabilmente sì!
E si illudono quelli che pensano che le ultramaratone possano per sempre rimanere appanaggio degli Europei o dei Nord-Americani.

Se venisse rafforzata la possibilità di assegnare premi in denaro, vedremmo gli Africani black prendere d'assalto le più prestigiose ultra nel mondo. Ma già qualche segno di ciò conmincia ad intravedersi.

A queste considerazioni fa da contraltare il fatto che, delle prime dieci donne classificate alla Comrades, (ma questo è un trend di tendenza che si mantiene immutato da molti anni)  non ci siano black runner: 1^ e 6^ sono britanniche, 2^ e 3^ sono le due gemelle russe Nurgalieva, rispetivamente Elena e Olesva; 4^, 7^, 9^ e 10^ sono sudafricane (tra le quali - 4^ donna - la russa Irina Antropova, che in quest'edizione ha corso sotto nazionalità suddafricana): la 9^ é svedese.
Tutte le donne sono bianche, anche quelle di nazionalità sudafricana. Come si spiega ciò?
Con l'eccezione del Kenya e dell'Etiopia che forniscono un gran numero di runner - uomini e donne - che eccellono nella maratona, le altre nazioni africane non emergono in modo particolare nel mondo delle maratone forse perchè non hanno trovato l'aggancio in organizzazioni e coach che credano in loro e che investano nello sviluppo del loro talento naturale.
Ma Keniani ed Etiopi si indirizzano quasi esclusivamente al circuito delle maratone che è molto più remunerativo anche sotto il profilo dei premi in denaro e delle possibilità di ingaggio.
Tra gli uomini che si sono classificati nei primi dieci posti della Comrades sono rappresentati come abbiamo già detto il Sudafrica e lo Zimbabwe, tutti black, ad eccezione dello svedese Buud: entrambi sono paesi africani probabilmente più poveri sotto il profilo delle opportunità di entrare nel circuito delle grandei maratone.
Ci sarebbe da aspettarsi un analogo successo di runner black di sesso femminile provenienti da questi due paesi, ed invece no.
La gara femminile rimane appannaggio dei bianchi.
Probabilmente, perchè in queste due nazioni (Sudafrica e Zimbabwe) vige ancora un'arretratezza culturale che non consente alle donne di partecipare ad un'attività sportiva, come pure la mancanza di pari opportunità tra uomini e donne:  gli uomini corrono, mentre le donne devono occuparsi di altre faccende.
In questo senso, la storia raccontata nel bellissimo film "The Long Run" che ha come sfondo la Comrades Marathon e come protagonista una donna nera che, proveniente - da clandestina - dalla vicina Namibia ed essendo stata scoperta da un coach bianco colpito dal suo naturale talento, finisce per vincere la sfida della Comrades.

Vedi anche: Il difficile rapporto tra allenatore e podista talentuoso sullo sfondo della celebre "Comrades Marathon" 

 

2014 Comrades Marathon Men's Top 10 Finishers
Position Name Nationality Time
1 Bongmusa Mthembu South Africa 5:28:34
2 Ludwick Mamabolo South Africa +4:41
3 Gift Kelehe South Africa +6:06
4 Stephen Muzhingi Zimbabwe +6:45
5 Rufus Photo South Africa +6:57
6 Mncedisi Mkhize South Africa +7:33
7 Jonas Buud Sweden +9:44
8 Manoko William Mokwalakwala South Africa +10:56
9 Prodigal Khumalo Zimbabwe +11:03
10 Latudi Makofane South Africa +12:08

 

 

 

 

2014 Comrades Marathon Women's Top 10 Finishers
Position Name Nationality Time
1 Eleanor Greenwood Great Britain 6:18:15
2 Elena Nurgalieva Russia +5:04
3 Olesya Nurgalieva Russia +6:36
4 Irina Antropova South Africa +15:53
5 Camille Herron United States +28:48
6 Jo Meek Great Britain +33:29
7 Caroline Wostmann South Africa +37:40
8 Frida Sodermark Sweden +39:19
9 Zola Budd Pieterse South Africa +42:32
10 Martinique Potgieter South Africa +44:35

 

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28 maggio 2014 3 28 /05 /maggio /2014 07:26

100 km del Passatore 2014 (42^ ed.) C'è lo Sport pieno di luce... e, poi, c'é l'Antisport con le sue ombre

[MC] Quella che segue é una riflessione sullo Sport e sull''Antisport, cioè su tutto ciò che vi è di antitetico allo spirito puro dello sport che dovrebbe animare tutti coloro che vi si accostano. Partendo dalla sua recente esperienza alla 100 km del Passatore, la cui 42^ edizione si è svolta dal 24 al 25 maggio 2014, la siciliana Elena Cifali - quest'anno finisher per la seconda volta; gara corsa senza "assistenza" esterna solo con il supporto dell'organizzazione; esordio nell'edizone 2013, crono finale circa 13 ore - fa le sue considerazioni, illustrando i due diversi - ed antitetici - atteggiamenti nei confronti delle sfide sportive, di cui la gara cui ha appena finito di partecipare è la massima esemplicazione.

C'è lo sport - ci dice Elena - con la sua Luce e, poi, c'è l'antisport con le sue ombre e i suoi malefici.
Si vorrebbe uno sport sempre puro ed esente da ombre. Ma anche la pratica sportiva, per quanto idealizzabile, essendo praticata da Uomini presenterà sempre un doppio volto: quello dei "puri" che vi si accostano con purezza d'anima, con nobiltà d'intenti e senza pratiche fraudolente e quello dei "trickster" che cercano di raggiungere i loro obiettivi con l'inganno. In mezzo c'è sempre la schiera degli invidiosi e dei detrattori, la schiera di coloro che si augurano il fallimento dei "puri" e che gioiscono degli inganni perpetrati dai trickster.

Sarà mai possibile avere uno sport pro ed incontaminato? Forse no, purtroppo. Ma sta a noi, ogni volta che ne abbiamo motivo, di denunciare qualsiasi pratica fraudolenta e tenere alti - nello stesso tempo - i valori dello sport pulito. 

(Elena Cifali) Le gare impegnative e quasi impossibili come è la 100 km del Passatore aprono scenari sempre nuovi nel chiacchiericcio delle menti povere di tanti podisti.

La partecipazione ad un evento di questa portata non si inventa dall’oggi al domani, ci vuole allenamento, spirito di sacrificio, elevata sopportazione del dolore e abitudine alla fatica fisica.

Ma anche questi ingredienti spesso non sono abbastanza per portare a termine una 100 km.

Prova ne è che tantissimi atleti si ritirano lungo il percorso, e le motivazioni possono essere sia fisiche che mentali.

Fatto sta che l'essere stati capaci di portare a termine una gara così complicata ed impegnativa riempie di orgoglio ogni partecipante, indipendentemente dal tempo impiegato.

E fin qui si parla di sport, quello sport onesto e pulito accompagnato da senso di solidarietà, da senso di fratellanza e tanta amicizia, dal piacere dello stare insieme per condividere una passione, dal gioire per le conquiste altrui, dal tifo, dal supporto e dalle manifesstazioni di solidarietà che vengono da gente anche sconosciuta.

 

Poi, ahimè, dietro l'angolo c’è l’anti-sport che allunga il suo zampino!

Si, l’antisport fatto di inganni, di imbrogli, di doping, di invidia e di gelosia, fatto di gesti di stizza nei confronti di chi arriva prima, fatto di maldicenze e falsità.

100 km sono davvero tanti. Infiniti, interminabili, lunghissimi.

100 km possono essere una distanza infinita dentro alla quale guardare dentro e fuori di noi, sperando di scorgere ancora un velo di umanità anche nelle anime più aride.

Ne ho viste tante durante questa edizione, e sì, perché in 13 ore si ha il tempo di guardare il cielo, le stelle, le lucciole e il paesaggio, ma si ha anche il tempo di guardare chi si infila dentro le automobili per riuscirne dopo parecchi chilometri.

Si ha il tempo di guardare gente che ingurgita intrugli di infiniti colori.

E si ha il tempo di osservare con infinito rammarico gente che non mantiene le promesse.

Io passo sopra queste cattiverie e me le lascio alle spalle come l’asfalto che divoro chilometro dopo chilometro.

Da sempre corro in sfida con me stessa, per dimostrarmi che so vivere e soprattutto che lo so fare bene. Ma corro anche sfidando chi - volta dopo volta - scommette sul mio ritiro, sul mio flop.

Eppure ad avere successo sono sempre io, sempre a testa alta. Senza nessun aiuto, senza nessun artificio.

Sono amica di molti ma diffido di tanti, leggo negli occhi di tanta gente la stima e l’ammirazione, ma so scorgere anche gli sguardi che arrivano di traverso, che come lame vorrebbero tagliare e ferire.

Le miei vittorie, le miei conquiste sono dedicate a chi mi sostiene con ogni mezzo, ma sono anche il frutto delle sfide che gente inutile e mediocre mi pone davanti.

Il mio unico rammarico è che non tutti i campioni, quelli con la "C" maiuscola, quelli che arrivano con onestà al traguardo, hanno la forza di sostenere e contrastare gli uomini inutili e vuoti che cercano le apparenze e che, per ottenerle, non esitano a ricorrere a metodi fradolenti o che mettono in campo passioni e sentimenti non "onorevoli" e antitetici ai valori dello sport puro.

La gelosia, l’invidia a volte sono terreno feritile per l’odio e il rancore.

Il compito di tutti noi sportivi è, e deve rimanere, quello di contrastare l’anti-sportivo, facendo scudo a affinché quest’ombra  non arrivi mai ad oscurare la luce che ognuno di noi ha dentro.

 

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27 maggio 2014 2 27 /05 /maggio /2014 20:52

Resistere e camminare. Il significato di profonda rottura della viandanzaQuelli che seguono sono appunti e note di commento ad alcuni brani tratti dalla lucidissima denuncia sullo stato della nostra civiltà fatta da Walter Siti nel suo libro “Resistere non serve a niente” (Rizzoli, Premio Strega 2013): il lavoro di sintesi e di raccolta delle citazioni è stato fatta da Guido Ulula alla Luna, medico nella vita e guida de "La Compagnia dei Cammini": si tratta di un contributo presentato alla 2^ edizione del Festival del Camminare che si è tenuto a Bolzano dal 23 al 25 maggio 2014: un vero successo con oltre 3200 visitatori in tre giorni.

Nessuno vuole davvero rinunciare al potere salvifico del consumo…

Il viandante camminatore compie un gesto rivoluzionario: antistorico ed antieconomico, in quanto non tecnologico; gratuito, in quanto anticonsumista; esperienziale, all’antitesi di ogni validazione virtuale; antirazionale, in quanto totalmente sensoriale; empatico e socializzante, ripristinando la centralità per la specie umana della convivialità; amorale, in quanto finalizzato al piacere del gesto.

“L’umanità non vuole accettare quel che lei stessa ha scoperto: che la vita non dipende dall’amore, che i sentimenti sono essudati della biologia, che l’individuo non è più laboratorio di nulla e che il mercato è in grado di fornire l’intero kit per un’individualità fai-da-te.

Questo è il pieno compimento dell’odierna visione efficientista e cinica dello sviluppo umano: malata in quanto nega le radici stesse dell’essere mammiferi. Il viandante camminatore compie un gesto romantico, nel senso di riproporre il romanticismo, cioè la centralità del vissuto soggettivo ed emotivo, come motore autentico di salute e felicità dell’uomo. L’amore in tutte le sue forme… per noi stessi, per l’altro, per il creato… è scopo e pratica quotidiana dello stare al mondo. Il vero nemico è l’Io, la dittatura del pensiero razionale ed il senso d’onnipotenza che ne deriva.

I regolatori del nuovo equilibrio dovranno sapere che la virtualità è l’oppio dei popoli e la psicologia un placebo; che l’epopea del singolo è finita e d’ora in poi avremo a che fare con organismi collettivi, colonie tipo i coralli e le spugne, compattati dalla scienza come nell’alto medioevo li compattava la religione.

Il viandante camminatore è l’anticorpo del virtuale. Mette la sensorialità al centro. Ridà col passo dopo passo pieno libero arbitrio all’individuo, salvandolo dalla tirannia della verità scientifica e dall’omologazione al ruolo di schiavo consumatore.
C’è bisogno di una visione di maggioranza. Di un messaggio profetico e salvifico rivolto a tutta l’umanità sofferente (che è “tutta” l’umanità… anche quella ricca, che si ammala di infarti e cancro e depressione e Altzheimer). Non basta contarsi fra camminatori, motivando chi è già motivato sul profondo significato di rottura della viandanza. È il momento di osare. Di capire le radici di una crisi che viene da lontano. Che siamo al capolinea dell’idea di crescita senza limiti, guidata da un Io pensante che si crede ormai unico Dio. Di immaginare e concretizzare un’idea di vita rispettosa di tutte le alterità del pianeta. Che sappia far leva sul motore autentico che determina l’agire di noi esseri umani: l’empatia. In qualche modo la filosofia del romanticismo racchiude tutto questo. Dice la centralità dell’amore, della bellezza, dell’armonia, del piacere come valore fondante, della salute sempre al primo posto. Dice che siamo noi in prima persona gli unici artefici del nostro benessere. Dice che è l’Anima ciò di cui dobbiamo prenderci cura, la nostra e quella del mondo.
Il cammino romantico può essere una proposta di svolta, che alletta per la sua positività, andando oltre la pur giusta critica spietata del presente. Facendo intravedere che basta poco, i nostri piccoli ma potentissimi passi, per invertire l’attuale corso frenetico, senza senso, sempre più distruttivo. La felicità è a portata di piede. La semplicità del mettersi in cammino è ciò che possiamo fare subito per essere movimento di pacificazione.

 

 


Resistere e camminare. Il significato di profonda rottura della viandanza(Dal risguardo di copertina di "Resistere non serve a niente" di Walter Siti) Molte inchieste ci hanno parlato della famosa "zona grigia" tra criminalità e finanza, fatta di banchieri accondiscendenti, broker senza scrupoli, politici corrotti, malavitosi di seconda generazione laureati in Scienze economiche e ricevuti negli ambienti più lussuosi e insospettabili. Ma è difficile dar loro un volto, immaginarli nella vita quotidiana. Walter Siti, col suo stile mimetico e complice, sfrutta le risorse della letteratura per offrirci un ritratto ravvicinato di Tommaso: ex ragazzo obeso, matematico mancato e giocoliere della finanza; tutt'altro che privo di buoni sentimenti, forte di un edipo irrisolto e di inconfessabili frequentazioni. Intorno a lui si muove un mondo dove il denaro comanda e deforma; dove il possesso è l'unico criterio di valore, il corpo è moneta e la violenza un vantaggio commerciale. Conosciamo un'olgettina intelligente e una scrittrice impegnata, un sereno delinquente di borgata e un mafioso internazionale che interpreta la propria leadership come una missione. Un mondo dove soldi sporchi e puliti si confondono in un groviglio inestricabile, mentre la stessa distinzione tra bene e male appare incerta e velleitaria. Proseguendo nell'indagine narrativa sulle mutazioni profonde della contemporaneità, sulle vischiosità ossessive e invisibili dietro le emergenze chiassose della cronaca, Siti prefigura un aldilà della democrazia: un inferno contro natura che chiede di essere guardato e sofferto con lucidità prima di essere (forse e radicalmente).


(La recensione di IBS) Vincitore Premio Strega 2013
. L’ultimo romanzo di Walter Siti reca in esergo una frase che dice: "La narrativa è più sicura: tanti editori avrebbero paura a pubblicare saggi su questi temi.

La citazione è di Graham Greene e introduce subito il lettore nel vivo di un terreno accidentato, in cui temi scottanti e scomode verità diventano materiale per la costruzione di un grande romanzo contemporaneo.
Resistere e camminare. Il significato di profonda rottura della viandanzaSiti sceglie la finzione per indagare quella che viene comunemente definita “zona grigia” tra l’alta finanza e la criminalità. Un mondo più che mai reale che viene dipinto attraverso personaggi a tutto tondo, che si muovono come pedine intelligenti sulla scacchiera della politica corrotta e dell’economia internazionale, incarnazione di una società che versa in uno stato di completo deterioramento morale, in cui “opprimere è un piacere, essere primi un imperativo e il possesso è l’unica misura del valore.”
Il romanzo si apre con l’agghiacciante scena di un’ esecuzione di stampo mafioso e con un breve intervento-saggio sul divario tra prostituzione reale e prostituzione percepita nella nostra società. Il lettore viene immediatamente trascinato dentro un mondo dominato da logiche alternative a quelle condivise, nel quale “la fluidità di mercato equipara il corpo a una cedola” e il denaro non è altro che un “necessario passaggio intermedio per una transazione psicologica” attraverso la quale l’escort fa sentire l’uomo padrone, mentre lui la fa sentire libera di usare il proprio corpo come vuole.
Bastano le prime pagine a coinvolgere e turbare e a dare la consapevolezza di non trovarsi di fronte al solito romanzo rassicurante che rafforza le certezze senza ingenerare dubbi. Siti non guida per mano dolcemente, ma introduce brutalmente nel mondo delle feste patinate, nelle discussioni tra ricchi banchieri, broker, starlette televisive, imprenditori tuttofare. 
I loro dialoghi sono “...sempre in bilico tra la sciocchezza recitata e il conformismo contro corrente” e bastano frammenti di conversazione per cogliere l’assurdo di certa società. Con l’arma della letteratura, Siti ne indaga i segreti inconfessati. Si impara, così, a familiarizzare con Tommaso, ragazzo di borgata, una lunga storia di obesità e bulimia alle spalle, matematico mancato e oggi broker affermato che tenta con donne, lusso, appartamenti e viaggi di coprire quel senso di inadeguatezza che il suo passato gli ha lasciato in eredità: l’adolescenza vissuta alla periferia del sistema, l’eterna lotta contro la “crudeltà cannibale degli specchi”, un padre di cui deve nascondere l’identità e la storia (“Papà Santa, sua diversità e suo segreto”), la fragilità di un edipo per nulla risolto. Uomo-elefante, uomo-cicatrice che cerca di salvarsi con la leggerezza della sua materia grigia, Tommaso accetta di raccontarsi sul teatro del romanzo, un po’ per vanità un po’ per bisogno di un esame di coscienza “egoistico, affannoso perché in ritardo.” La definizione del personaggio va di pari passo con il racconto della sua storia e con la descrizione del sistema marcio in cui si muove; creatura d’autore, scopre se stesso con la fabulazione e arriva a chiedere allo scrittore: "Devi dirmelo tu chi sono". Accanto a Tommaso, Gabry, la modella e olgettina intelligente, così terrena e così irraggiungibile, che usa il suo potere sugli uomini non tanto per superba arroganza, quanto più per stanco adeguamento a un apparato che l’ha creata e che, in fondo, non è così male. E, in un progredire vorticoso, conosciamo anche Edith, la scrittrice impegnata, Morgan il mafioso internazionale.
Frammenti di storie, luoghi comuni, conversazioni inconcepibili in un convulso gioco di continui cambi di punti di vista. Siti sceglie il miglior modo possibile per descrivere un universo senza centro. Anche i termini usati, in larga parte tratti dal lessico finanziario, restituiscono l’idea di un caos turbinoso: high-frequency trend, bilanci aziendali, fondi, agenzie di rating, titoli di stato… unici valori di un mondo in cui le transazioni economiche sono l’unico momento in cui le persone scambiano davvero qualcosa. 
La struttura narrativa è complessa, multi-livello: da un lato l’autore fa agire e parlare i personaggi, dall’altro interviene - figura tra le altre – a muovere le fila di un discorso articolato. L’autore-personaggio pone sotto riflessione il romanzo stesso e, in un perfetto esempio di metanarrazione, parla al lettore guidandolo nell’evoluzione del racconto, talvolta suggerendogli quelle motivazioni nascoste, sottese ai comportamenti dei personaggi e che loro stessi non sempre sembrano conoscere. Come Svevo con il suo Zeno, Siti sa che i suoi personaggi sono bugiardi e spesso omettono le proprie ragioni vergognandosene, e allora racchiude in note il proprio pensiero su di loro, postille di un giudizio che – nonostante tutto – non appare mai insindacabile.
Si addentra in un mondo che va osservato senza smettere mai di problematizzare perché i valori assoluti sono definitivamente caduti e la distinzione tra bene e male è quanto mai labile. Rapporti di famiglia, amore e amicizia, sesso, inganno, sfruttamento chiedono di essere valutati rinunciando all’aprioristica definizione di “giusto” e “sbagliato” (A cura di Wuz.it)

 

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23 maggio 2014 5 23 /05 /maggio /2014 23:15

Siamo tutti come Pinocchio che corre sempre

(Maurizio Crispi) Devo alla lettura del libro di Gaia De Pascale (Correre é una filosofia. Perchè si corre, Ponte alle Grazie, 2014), l'interessante riflessione sul fatto che Pinocchio corre di continuo. Dal momento in cui Mastro Geppetto sgrossa quel pezzo di legno, facendogli gambe e piedi, il burattino in foggia umana non fa che correre.

Corre per gioia e vitalità tracimante, ma anche per scappare e per mettersi in salvo. Ma anche il suo essere di corsa è un modo per esplorare il mondo vasto ed irto di pericoli, ma anche fonte di meraviglia.

Gaia De Pascale, che deve - a sua volta - questa intuizione ad un saggio che prende appunto in esame questa pinocchiesca particolarità (puntualmente citato nel suo testo), la usa per commentare sul fatto che la voglia di correre è innata in noi, iscritta per così dire nei nostri geni e che correre è una caratteristica atavica che, in parte, la civilizzazione ci ha fatto perdere.

 

Pinocchio è sempre in corsa: non c'è capitolo della storia di Collodi dove non corra. 
La lettura delle riflessioni di Gaia De Pascale su questa tema mi ha fatto venire voglia di rileggere Pinocchio, cosa che sto facendo di buona lena, recitando ogni capitolo ad alta voce a beneficio di mio figlio che, per adesso, pur non potendo ancora capire, memorizza il suono e l'intonazione delle parole, nonché la loro musicalità.

E, leggendo, mi sono reso conto che in effetti è proprio così: Pinocchio è un corridore esuberante (ma anche resistente e resiliente) e se, da un lato, questa capacità è causa di disperazione per il povero Geppetto, perchè porta Pinocchio lontano da lui, dall'altro lato è la manifestazione di una forza benefica perchè sovente gli salva la vita nelle difficili situazioni in cui - a volte per esuberanza, a volte per igenuità - si va a cacciare: e sono frequentissime le metafore di corsa, tra le quali regna sovrana quella del "correre come una lepre".

 

E allora ben venga il parallelismo: noi runner siamo tutti come Pinocchio, degli esuberanti corridori che, correndo, trovano la possibilità di dare sfogo ad un bisogno ancestrale, ma che riescono a dare espressione alla propria vitalità interiore e, nello stesso tempo, a ricaricarsi di energia vitale.

E la corsa indubbiamente salva la vita, se non da minacce esterne, certamente dai nostri fantasmi interiori.

 

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23 maggio 2014 5 23 /05 /maggio /2014 14:54

100km-del-Passatore-3479.JPG

 

(Maurizio Crispi) Presto sapremo il numero esatto degli esordienti - o potremmo anche chiamarle "matricole" - nella 100 km nell'edizione n°42 della Cento chilometri del Passatore che andrà in scena tra il 24 e il 25 maggio 2014: Elio Pezzi, addetto stampa dell'importante manifestazione, presto - sicuramente nel prossimo comunicato - renderà noto il dato che, di norma, è particolarmente significativo e che ha una sua importanza. Le centinaia di podisti che ogni anno partecipano per la prima volta ad una Cento, qui al Passatore, conferma come - da sempre - essa sia il trampolino di lancio per coloro che intendono cimentarsi per la prima volta nella distanza dei 100 km, specialità regina tra le Ultramaratone.

 L'anno scorso furono in più di 800 gli esordienti che si schierarono allo start della "Cento più bella del Mondo": e, naturalmente, tra loro ci sono podisti di tutti i tipi, dagli stradaioli veloci che sino a quest'esordio si sono cimentati solo su distanze più brevi, ai podisti lenti, ai camminatori veloci e ai fitwalker.

Paradossalmente, sono proprio gli "stradaioli" veloci che hanno più probabilità di rimanere "un-finisher", cioè di essere relegati al limbo che accoglie tutti coloro che non hanno completato la distanza a causa di una crisi subentrata e mal gestita.
E ciò perchè accade? Probabilmente per un eccesso di sicurezza, soprattutto quando è ancora del tutto ignoto il percorso e le sue difficoltà.
Molti dei podisti con prestazioni medio-alte in maratona pensano che si possa affrontare la 100 ideando una strategia a tavolino, con una linea di condotta di gara del tutto teorica, facendo il semplice ragionamento che se sono capaci di correre una maratona, tanto per fare un esempio con un andatura di 4'30/km, per una semplice estrapolazione possano correre 100 km rallentando il ritmo di base, mettiamo di 30" secondi al km.
E, con questo ragionamento, si schierano allo start con l'idea tutta teorica di poter sviluppare un'andatura di 5' al km, mantenendola con costanza sino al traguardo finale, per non parlare di quelli che predispongono più elaborate tabelle di marcia e cercano di conformarvisi.

Io stesso ho avuto modo di conoscere delle alcuni che, malgrado esortazioni ad una maggiore prudenza, hanno affrontato la gara con questo spirito e che al Passo della Colla hanno dovuto gettare la spugna.

A meno di essere un fuori-fuoriclasse, occorre una condotta di gara più prudente: la prima volta dovrebbe servire a tastare il terreno, a capire quali sono le difficoltà specifiche, quali gli imprevisti e le possibili variabili, studiare come reagisce il proprio corpo nell'affrontare un chilometraggio mai sperimentato prima.

E forse se si procede così, fondamentalmente con prudenza, e si riesce ad arrivare al 65° km (Marradi), forse allora, solo se c'è un margine di energia sufficiente, si potrà tenere un'andatura che consenta una risalita nella media oraria.
E consideriamo che quando si arriva a Marradi, c'è ancora quasi una buona maratona da correre e che quando si è all'80°km, rimane ancora la distanza di una Mezza da coprire.

Qualcuno potrebbe dire: "E cos'è una Mezza? Niente se di Mezza ne ho già coorse quattro di seguito
Niente di più sbagliato: all'80° km si annida l'incontro fatidico con il muro del centista, che non è l'unico, del resto. L'altro, forse più temibile è quello con cui ci si deve confrontare attorno al 45°-50° km, quando si è già superata la distanza della maratona e si percepisce che c'è un surplus di affaticamento mentale a cui la pratica della maratona non ci aveva preparato. 

Solo avendo una prima esperienza alle spalle, solo allora in occasione di una partecipazione successiva si potrà pianificare una condotta di gara e si potrà pensare di migliorare il proprio primo limite, avendo alle spalle una propria personaleesperienzacheè allo stesso tempo tecnica, ma anche psico-somatica.

Rinunciando, in altri termini, a voler afferrare la luna, quando la luna è ancora troppo distante.

I podisti lenti, quelli che partono ad andatura circospetta e il cui unico scopo è arrivare al traguardo di Piazza del Popolo di Faenza, come pure i camminatori e i NordicWalker hanno più chance di concludere la loro fatica.
Non commettono errori epistemoligici o di eccesso di presunzione e di spavalderia.

Compiono la loro strada dignitosamente: in seguito, se vorranno migliorarsi, si vedrà.

Prima di tutto occorre conoscere la strada e soltando dopo la si potrà percorrere più velocemente.

Tragli esordienti,insomma, ci sono quelli che credono di sapere, ma in realtà non sanno nulla e quelli che non sanno ancora, tuttavia essendo consapevoli di non sapere:i primi spesso falliscono, i secondi hanno successo. 

Tutto qua, non ci sono altre regole, da seguire, se non quella di rinunciare all'idea del traguardo finale, gustandosi - almeno la prima volta - il viaggio e spezzettandolo in tanti segmenti: è meno fatigante pensare esclusivamente ai prossimi 5 km e al prossimo posto di ristoro. La fatica mentale sarà minoree non si avrà la sensazione di essere sperduti in un mare ignoto la cui traversata pare una cosa cosìimmensa che è quasi inconcepibile.
Di 5 km in 5 km, passo dopo passo. E alla fine si arriva, senza avere anteposto il traguardo alla distanza dapercorrere. 

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Presentazione

  • : Ultramaratone, maratone e dintorni
  • : Una pagina web per parlare di podismo agonistico - di lunga durata e non - ma anche di pratica dello sport sostenibile e non competitivo
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  • Mi chiamo Maurizio Crispi. Sono un runner con oltre 200 tra maratone e ultra: ancora praticante per leisure, non gareggio più. Da giornalista pubblicista, oltre ad alimentare questa pagina collaboro anche con altre testate non solo sportive.
  • Mi chiamo Maurizio Crispi. Sono un runner con oltre 200 tra maratone e ultra: ancora praticante per leisure, non gareggio più. Da giornalista pubblicista, oltre ad alimentare questa pagina collaboro anche con altre testate non solo sportive.



Etnatrail 2013 - si svolgerà il 4 agosto 2013


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Il perchè di questo titolo

DSC04695.jpegPerchè ho dato alla mia pagina questo titolo?

Volevo mettere assieme deio temi diversi eppure affini: prioritariamente le ultramaratone (l'interesse per le quali porta con sè ad un interesse altrettanto grande per imprese di endurance di altro tipo, riguardanti per esempio il nuoto o le camminate prolungate), in secondo luogo le maratone.

Ma poi ho pensato che non si poteva prescindere dal dare altri riferimenti come il podismo su altre distanze, il trail e l'ultratrail, ma anche a tutto ciò che fa da "alone" allo sport agonistico e che lo sostanzia: cioè, ho sentito l'esigenza di dare spazio a tutto ciò che fa parte di un approccio soft alle pratiche sportive di lunga durata, facendoci rientrare anche il camminare lento e la pratica della bici sostenibile. Secondo me, non c'è possibilità di uno sport agonistico che esprima grandi campioni, se non c'è a fare da contorno una pratica delle sue diverse forme diffusa e sostenibile. 

Nei "dintorni" della mia testata c'è dunque un po' di tutto questo: insomma, tutto il resto.

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Come nasce questa pagina?

DSC04709.jpeg_R.jpegL'idea motrice di questo nuovo web site è scaturita da una pagina Facebook che ho creato, con titolo simile ("Ultramaratone, maratone e dintorni"), avviata dall'ottobre 2010, con il proposito di dare spazio e visibilità  ad una serie di materiali sul podismo agonistico e non, ma anche su altri sport, che mi pervenivano dalle fonti più disparate e nello stesso tempo per avere un "contenitore" per i numerosi servizi fotografici che mi capitava di realizzare.

La pagina ha avuto un notevole successo, essendo di accesso libero per tutti: dalla data di creazione ad oggi, sono stati più di 64.000 i contatti e le visite.

L'unico limite di quella pagina era nel fatto che i suoi contenuti non vengono indicizzati su Google e in altri motori di ricerca e che, di conseguenza, non risultava agevole la ricerca degli articoli sinora pubblicati (circa 340 alla data - metà aprile 2011 circa - in cui ho dato vita a Ultrasport Maratone e dintorni).

Ho tuttavia lasciato attiva la pagina FB come contenitore dei link degli articoli pubblicati su questa pagina web e come luogo in cui continuerò ad aprire le gallerie fotografiche relative agli eventi sportivi - non solo podistici - che mi trovo a seguire.

L'idea, in ogni caso, è quella di dare massimo spazio e visibilità non solo ad eventi di sport agonistico ma anche a quelli di sport "sostenibile" e non competitivo...

Il mio curriculum: sport e non solo

 

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